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I cambiamenti necessari nel PNRR per la Transizione Ecologica (*)
contributi alla discussione.  incontro dl 29 gennaio 2022. Genova

L’impostazione finanziaria del piano si articola su due pilastri: le risorse europee di NextGenerationEU, provenienti dal Recovery and Resilient Facility (RRF) e da ReactEU, e le risorse nazionali del Fondo complementare. L’ammontare complessivo del PNRR è lievitato a 235,14 miliardi di euro: 191,5 per l’RRF; 13 miliardi di euro per ReactEU; 30,64 miliardi di euro per il Fondo complementare.

Dei primi due abbiamo già discusso, anche in prospettiva storica su questo sito, ora possiamo esaminarne in dettaglio debolezze ed opportunità.

Nella ripartizione delle risorse non si specifica più l’ammontare dei progetti in essere, che nella precedente versione (23 aprile) ammontavano a 53 miliardi. (involuzione da specificare a voce in corso di intervento)

Progetti questi a forte rischio di essere bocciati dalla Commissione per il mancato rispetto dei criteri previsti da NextGenerationEU. (qui fare riferimento alla sezione - da home page: .Un po' di Storia...
Accordo sul dispositivo per la ripresa e la resilienza e successivo strumento > il NextGenerationEU.)


In quest’ottica sembra spiegarsi l’introduzione del Fondo complementare, che appare pensato come una sorta di contenitore per poi riciclare i progetti bocciati dalla Commissione. (anche su questo concetto di "riciclo" occorrerebbe una spiegazione con esemplificazioni in diretta; possibili)

È impossibile verificare il rispetto del vincolo europeo di destinare almeno il 37% delle risorse ad azione climatica e transizione verde. Almeno con gli strumenti di analisi valutazione e autovalutazionepresentati. Evidentemente si pensa a decreti ad hoc. Anche questo materiale per il prossimo nuovo Governo.

Nel testo trasmesso al Parlamento si dice che il PNRR "soddisfa largamente i parametri fissati dai regolamenti europei sulle quote di progetti verdi e digitali”. Mentre nella precedente versione (23 aprile) si parlava di una quota del 38% delle risorse destinate ai “progetti verdi”. Dalla ripartizione delle risorse tra le diverse missioni si vede che alla transizione ecologica sono destinati 69,96 miliardi di euro (59,33 RRF; 1,31 ReactEU e 9,32 Fondo complementare) ossia il 29,75 del totale complessivo di 235,14 miliardi. Quindi un regresso su cui va fatta una attenta valutazione.

Va inoltre tenuto presente che ben 22,43 miliardi delle risorse destinate alla transizione ecologica, nella versione precedente erano destinati a progetti in essere a rischio di bocciatura da parte della Commissione. Solo parzialmente corretti nell'attuale declinazione.

L’azione climatica
Si annuncia che il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) e la Strategia Climatica di Lungo Termine sono entrambi in fase di aggiornamento per riflettere il nuovo livello di ambizione definito in ambito europeo.
Si prevede che il nuovo obiettivo climatico nazionale per il 2030 salga al 51% di riduzione delle emissioni rispetto al 1990. Pertanto, tutti gli interventi messi in campo con il PNRR dovranno contribuire al “raggiungimento e superamento” degli obiettivi del PNIEC. Ma sia per le rinnovabili che per l’efficienza energetica si confermano gli attuali target al 2030, rispettivamente del 30% e di 103,8 Mtep di consumo finale di energia.

Va sottolineato che il nuovo obiettivo climatico del 51% per il 2030 è inadeguato sia rispetto al nuovo livello europeo di ambizione, fissato ad ALMENO il 55%, che all’obiettivo di 1.5°C previsto dall’Accordo di Parigi. Come ha evidenziato l’Emissions Gap Report dell’UNEP, è cruciale che l’azione climatica dei governi sia così ambiziosa da consentire una riduzione media annua dei gas climalteranti del 7.6% da qui al 2030, al fine di contenere l’aumento della temperatura media globale entro la soglia critica 1.5°C.

Per l’Europa e l’Italia questo significa una riduzione del 65% delle emissioni climalteranti entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, andando ben oltre il 55% previsto dal recente accordo tra Parlamento e Consiglio sulla Legge europea sul clima. 

Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura Pubblica

Amministrazione e Sistema produttivo

Alle due componenti dedicate alla Pubblica Amministrazione e al sistema produttivo sono dedicati ben 41,93 miliardi di euro di cui 34,05 di Pnrr, 0,80 di React EU, 7,8 di Fondo complementare.

Positivo che si siano aumentate le risorse e si intervenga con decisione nel dotare il nostro Paese dell’infrastruttura digitale, presupposto per creare innovazione nella Pubblica Amministrazione, nel sistema produttivo, nei servizi da quelli energetici al campo medicale, nella mobilità, nella scuola.

Il ritardo accumulato in questi anni nell’infrastruttura e cultura digitale ha prodotto disuguaglianze sociali e territoriali, ben evidenti durante la pandemia. (Parte da evidenziare in fase di commento; i problemi precedenti sono esplosi al momento della crisi pandemica; dati medici da comntare in slides)
Tali risorse possono essere meglio utilizzate ponendo maggiore attenzione agli aspetti sociali e ambientali. (Anche questo un passaggio delicato da approfondire; riguarda i ritardi nel campo dell'inclusione, della capacità di fare rete in condizioni di difficoltà, di uscire da un "sviluppismo" non più adatto per il XXI secolo).

Un sintetico promemoria per i ministri competenti: (
con spiegazione in dettaglio durante la presentazione)

Bene il “reclutamento di diverse migliaia di giovani che aiutino circa un milione di utenti ad acquisire competenze digitali di base” ma non tutti, per età o altra condizione di disagio, sono in grado di acquisire tali competenze.

Vanno previsti, e pianificati, luoghi e competenze che aiutino chi è in difficoltà a fruire dei servizi digitali negli anni di transizione. (Anche questo è un passaggio delicato che trova nei ritardi a livello scolastico e della pubblica amministrazione i suoi punti più dolenti).

- Nel reclutamento del personale e nel Piano di Formazione per la Pubblica Amministrazione bisogna porre particolare attenzione a selezionare e garantirsi figure professionali e competenze necessarie per innovare la progettazione e la realizzazione degli interventi in campo ambientale, anche alla luce dei cambiamenti climatici.

- Gli investimenti per la digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale devono supportare la transizione ecologica e creare sinergie.

La pervasività dell’ITC (Informazione Tecnologia Comunicazione), con l’uso di molte applicazioni energivore, deve perseguire il massimo dell’efficienza energetica e gestione sostenibile del ciclo di produzione e smaltimento dei dispositivi elettronici.

La Pubblica Amministrazione deve prevedere nei contratti di servizio con chi fornisce il cloud la certificazione sull’impatto ambientale della sua offerta e le fonti energetiche di approvvigionamento.

Devono essere definiti criteri di riduzione di impatto ambientale per gli acquisti di dispositivi e servizi ICT - Information Communication Technology - (sul Green Pubblic Procurement elettronico possibili dettagli in approfondimento via slides - tempo permettendo).

Un programma di ampio respiro

La c.d.  Transizione 4.0 ha bisogno di una riforma per mettere al centro priorità climatiche e ambientali oltre che digitali. Anche i programmi industriali di filiera, già in essere, che si vogliono ulteriormente finanziare con 1,95 miliardi di euro hanno bisogno di essere rivisti per promuovere processi interaziendali e multi-filiera a fini innovativi, interconnessi da strategie di simbiosi industriale e di economia circolare.

Turismo e Cultura
La proposta si caratterizza per alcuni passaggi estremamente generici che non consentono di valutare appieno la portata dei provvedimenti.

Quello che è evidente è che si immagina una modernizzazione del settore quasi esclusivamente centrata su digitalizzazione ed efficientamento delle strutture, una sorta di modernizzazione tecnica e tecnologica di un comparto cui sostanzialmente non vengono cambiate le caratteristiche di base.

Rispetto alla formulazione del PNRR di gennaio sono spariti i pur timidi riferimenti alle azioni di formazione e alle iniziative volte a promuovere il cosiddetto “turismo lento”, formula pressoché scomparsa nella proposta attuale insieme a quelle di “albergo diffuso”, “cammini” e altro.

Nessun riferimento quindi a nuove forme di turismo da incentivare, nessun riferimento a nuovi prodotti turistici centrati sull’ambiente, le esperienzialità, il turismo attivo e all’aria aperta.

Continuando un’analisi per forza di cose più filologica che contenutistica sono tornati nell’ultima versione i “borghi”, precedentemente sacrificati a favore delle “piccole città storiche”, con un corposo finanziamento (1,02 mld) da veicolare attraverso il Piano Nazionale Borghi, un programma di sostegno allo sviluppo  economico e sociale delle zone svantaggiate basato sulla rigenerazione culturale dei piccoli centri e il rilancio turistico.  
(quest'ultimo passaggio interessante...ma molto da "Libro dei Sogni")

I “grandi attrattori turistico-culturali” sono finiti fra i finanziamenti del Fondo complementare per 1,46 miliardi di euro e andranno a realizzare ben 14 interventi alcuni condivisibili, altri che lasciano decisamente perplessi.

Si passa per esempio dai 95 milioni di euro per la riqualificazione dello Stadio Franchi di Firenze ai 75 per un non meglio identificato Parco costiero della cultura, del turismo e dell’ambiente a sud di Bari, passando per i 435 milioni destinati ai treni storici e agli itinerari culturali e i 106 milioni di euro per l’Appia.
(numeri che andrebbero messi a confronto con quel che non viene assolutamente preso in considerazione come, per esempio, la "Cittadella" di Alessandria).

Non poche perplessità suscita la destinazione di un corposo finanziamento di 800 milioni allocato sotto il titolo “Sicurezza sismica: Recovery Art Conservation Project” che prevede, fra l’altro, la riconversione di 3 centrali nucleari e due caserme da destinarsi a depositi temporanei per la protezione dei Beni culturali mobili in caso di calamità naturali.

Positiva invece la previsione di una riforma dell’ordinamento delle professioni delle guide turistiche, un provvedimento che può portare omogeneità e qualificazione nell’ambito di un comparto strategico per il nostro Paese.

Sul cicloturismo, infine, la cui voce è inserita nella sezione dedicata alla mobilità, segnaliamo che, sebbene si sventolino con enfasi le prospettive di crescita del settore (peraltro usando i dati Isnart/Legambiente), l’attenzione riservata al comparto è veramente trascurabile.

Così come evidenziamo la pochezza dei chilometri di ciclabili urbane (appena 570 km), anche i 1.250 chilometri di “piste ciclabili turistiche”, sono ben poca cosa se si considera che il Sistema Nazionale delle Ciclovie Turistiche sulle quali le precedenti Leggi di Bilancio hanno già stanziato circa 372 milioni di euro (più altrettanti da parte delle Regioni fino ad arrivare a 750) cuba circa 6000 chilometri.

Rivoluzione verde e transizione ecologica

Economia circolare e agricoltura sostenibile

Rifiuti ed Economia circolare


Per la realizzazione di nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernamento di impianti esistenti sono destinati 1,5 miliardi di euro

Secondo il Piano “gli investimenti mirano (…) alla realizzazione di nuovi impianti di trattamento/riciclaggio di rifiuti organici, multi-materiale, vetro, imballaggi in carta e alla costruzione di impianti innovativi per particolari flussi” e che “il 60% dei progetti si focalizzerà sui comuni del Centro-Sud Italia”.

L’investimento previsto sulla realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti e sull’ammodernamento di quelli esistenti ha l’obiettivo condivisibile del superamento dei divari territoriali sulla dotazione impiantistica nel paese.

La percentuale del 60% citata sembra però sottostimata visto che il restante 40% andrebbe al nord Italia che è già abbastanza fornito di impianti.

Va corretta anche la percentuale del “65% di raccolta differenziata al 2035” aumentandola all’80% perché il pacchetto di direttive europee sull’economia circolare recepite in Italia dal decreto legislativo 166 del 2020 fa riferimento al 65% di effettivo riciclo.

Va realizzata una rete impiantistica tale da rendere autosufficiente ogni provincia italiana.

Gli investimenti del PNRR devono contribuire a perseguire tale partendo dal centro sud, in via prioritaria per la digestione anaerobica e il compostaggio per produrre biometano e compost di qualità da frazione organica dei rifiuti urbani; per la selezione dei rifiuti da imballaggio da raccolta differenziata; per il riciclo dei prodotti assorbenti per la persona; per il riciclo delle terre da spazzamento; per il riuso dei prodotti dismessi in Centri di preparazione per il riutilizzo.

Va prevista anche l’autorizzazione di lotti in discariche, preferibilmente esistenti, solo ed esclusivamente per i rifiuti contenenti amianto (ci deve essere almeno una discarica per regione con lotto autorizzato a tal fine). 

Per i Progetti “faro” di economia circolare è previsto un investimento di 600 milioni di euro Questa misura punta alla realizzazione di impianti di trattamento/riciclo di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE); carta e cartone; rifiuti plastici (attraverso riciclaggio meccanico, chimico, “Plastic Hubs”) e rifiuti tessili (tramite "Textile Hubs").

Si tratta di filiere su cui è fondamentale costruire nuova impiantistica per il riciclo, ma non sono le sole su cui realizzare progetti “faro”.

Si pensi ad esempio alla filiera della bioeconomia che dalle biomasse di scarto producono intermedi e prodotti della chimica verde.

Impianti che possono essere installati riconvertendo siti industriali in dismissione o già dismessi, poli chimici in stato di dismissione su tutto il territorio nazionale, a partire da quelli del centro sud.


Si fa riferimento ad impianti per avviare a riciclo il “marine litter” ma in questa nuova versione del PNRR si è persa l’infrastrutturazione dei pescherecci e dei porti per i rifiuti prelevati accidentalmente dalle reti attraverso la pratica del fishing for litter (che, è bene ricordarlo, ancora oggi, senza l’approvazione del ddl Salvamare fermo in Senato, è una pratica non prevista dalla legge, fatte salve le sperimentazioni avviate con successo in Toscana, Lazio, Puglia ed Emilia-Romagna).

Agricoltura sostenibile

Gli investimenti previsti per sviluppare una filiera agroalimentare sostenibile sono pari a 2,8 miliardi di euro. Le risorse vengono destinate allo sviluppo della logistica delle filiere (800 milioni), mirando ad una positiva riduzione dell’impatto dei trasporti e degli sprechi alimentari; lo sviluppo di energie rinnovabili tramite l’utilizzo dei tetti degli edifici produttivi (1,5 miliardi di euro); l’ammodernamento dei macchinari agricoli e lo sviluppo di tecniche di agricoltura 4.0 per ridurre le emissioni e gli impatti sulle risorse naturali (500 milioni).

Misure positive che però si limitano ad un mero approccio tecnicistico nell’affrontare la filiera agroalimentare.

Manca, infatti, qualsiasi riferimento puntuale e specifico all’agroecologia, allo sviluppo delle buone pratiche agricole per minimizzare l’utilizzo e ridurre significativamente la dipendenza dalle molecole di sintesi, allo sviluppo delle infrastrutture verdi per tutelare biodiversità e gli insetti impollinatori, alla diffusione di una rete capillare di presidi territoriali indipendenti per la formazione degli operatori del settore, agli interventi per minimizzare gli impatti significativi del settore zootecnico e incentivare il benessere animale.

Manca il riferimento all’agricoltura biologica, alla necessità di incrementare la SAU (superficie agricola utilizzata), ai biodistretti che dal nostro punto di vista costituiscono il punto di svolta strategico per la transizione ecologica dell’intero comparto agroalimentare.

Riferimenti previsti dalla Strategie europea Farm to fork che punta ad un sistema europeo del cibo che scoraggi pratiche agricole e zootecniche intensive e metta al centro la salute dei cittadini, la salvaguardia degli ecosistemi e la riduzione significativa dei carichi emissivi.

(le recenti prese di posizione dei Verdi europei con la Eleonora Evi in prima fila, contribuiscono ad un quadro di insieme dessiolante e tutt'altro che positivo; fare riferimento alle slides pdi provenienza Eleonora Evi)

Sviluppare progetti integrati
Tale componente ha visto un aumento di 170 milioni di euro rispetto alla precedente versione di PNRR per un investimento totale di 370 milioni di euro.

È una proposta interessante l’investimento “Isole verdi” che conferma la disponibilità di 200 milioni di euro per le 19 piccole isole affinché diventino un laboratorio per lo sviluppo di modelli 100% green (energie, rifiuti, acqua, etc).

Si ignora però che le isole minori italiane sono ricche di specie endemiche uniche ed a rischio di estinzione (avifauna, impollinatori, specie vegetali, etc) per le quali non è prevista nessuna azione a tutela della natura e la biodiversità quanto mai opportuna, anche perché molte non sono ancora sottoposte a tutela (parco o area marina protetta).

L’investimento Green Communities prevede che se ne costituiscano 30 grazie contando su 140 milioni di euro. A nostro avviso, dovrebbero coinvolgere prioritariamente le comunità locali delle aree ad alta 5 vocazione naturale (aree protette, riserve Unesco, siti natura 2000) e sperimentare l’applicazione dei servizi ecosistemici erogati dal capitale naturali dei grandi sistemi ambientali del Paese (Alpi, Appennini, Bacino padano).

I restanti 30 milioni sono finalizzati a promuovere una opportuna azione culturale verso i cittadini e le nuove generazioni sui temi e la consapevolezza delle sfide ambientali.

Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile

Transizione energetica e mobilità sostenibile

Per questa voce sono previsti 25,36 miliardi di euro, di cui 23,78 dal recovery plan, 0,18 da React UE e 1,4 dal Fondo complementare.

Nella proposta di PNRR precedente le risorse erano pari a 18,22 miliardi di euro, di cui 17,53 dal Pnrr e 0,69 dal React UE.


Transizione energetica

Le risorse per incrementare la produzione di energia rinnovabile sono pari a 5,9 miliardi di euro.

E’ positivo che siano destinati: 1,1 miliardi di euro per l’agrivoltaico (obiettivo 2GW) che amplia gli interventi anche agli impianti a terra in cui convive il solare con le colture;

2,2 miliardi di euro per la promozione delle comunità energetiche e l’auto consumo nei Piccoli Comuni (obiettivo 2 GW);

3,61 miliardi di euro per il rafforzamento delle smart grid e 500 milioni di euro per la resilienza delle reti.

È più che deludente l’investimento di soli 680 milioni di euro per gli impianti innovativi tra cui l’off shore (obiettivo 200 MW, davvero poco).

E non è previsto nulla per il solare da installare nelle aree dismesse da bonificare.

Sono condivisibili gli interventi di semplificazione delle autorizzazioni sulle rinnovabili, andrebbero però fissati i tempi per evitare l’accumulo di altri ritardi. Il 2020 è stato un anno pessimo per le installazioni, calate rispetto agli anni precedenti.

Le semplificazioni devono prevedere regole trasparenti e chiare per la realizzazione dei progetti, al fine di dare certezze alle Amministrazioni locali, che non basta coinvolgerle solo per la definizione delle aree idonee o non idonee, e ai cittadini, in particolare per il settore dell’agrivoltaico.

Quanto alle comunità energetiche e l’auto consumo è positivo focalizzare le risorse sulle aree in cui si prevede un maggior impatto socio-territoriale, ma tra queste aree non vanno dimenticate le periferie urbane, luoghi che necessitano di profonde trasformazioni, e in cui l’innovazione energetica attraverso efficienza e rinnovabili possono portare vantaggi ambientali e sociali importanti. Inoltre, in tema di piccoli comuni, e più nello specifico di aree rurali e montane, il PNRR potrebbe essere l’occasione per sperimentare all’interno delle comunità energetiche anche l’energia termica, da condividere attraverso apposite reti di teleriscaldamento, alimentate da fonti rinnovabili a filiera corta, così come avviene con assoluto successo nelle cooperative energetiche alpine.

Per l’idrogeno ci sono 3,19 miliardi di euro, di cui 500 milioni per la produzione in aree industriali dismesse da fotovoltaico con elettrolizzatori (ma non si parla di bonifiche) e 2 miliardi di euro per l’utilizzo in settori hard to abate.

Tra questi settori si fa un generico riferimento alla siderurgia senza indicare né tempi né impianti su cui intervenire.

Il nuovo Piano industriale del siderurgico di Taranto, l’ex Ilva, deve ridimensionare la capacità produttiva del ciclo integrale a carbone grazie alla costruzione di forni elettrici e alla realizzazione, da prevedere subito, di un impianto che utilizzi l’idrogeno verde per produrre acciaio, sulla falsariga del progetto svedese Hybrit.

Interventi che devono essere accompagnati da un piano di formazione delle nuove e necessarie competenze lavorative. È invece eccessiva la sperimentazione dell’idrogeno sulle linee ferroviarie, che prevede interventi su 6 linee e 9 stazioni di rifornimento, visti i costi e l’inadeguata produzione di idrogeno verde.

Era meglio investirli nella elettrificazione delle linee e rinnovo del parco circolante.

Si parla di risorse per la ricerca su stoccaggio e trasporto di idrogeno con soli 160 milioni di euro. 6 È una novità importante rispetto alla versione precedente del PNRR l’attenzione dedicata allo sviluppo del biometano, per il quale vengono stanziati 1,92 miliardi di euro.

È condivisibile la spinta alla produzione attraverso la riconversione a biometano degli impianti esistenti di produzione di biogas e alla realizzazione di nuovi impianti per trattare scarti agroalimentari e reflui zootecnici (ma lo stesso deve valere anche per l’organico differenziato e i fanghi di depurazione delle acque reflue), anche per contribuire a decarbonizzare la filiera del trasporto pesante (col biometano liquido) e le lavorazioni meccaniche sui terreni agricoli (grazie ai mezzi che oggi possono essere alimentati a biometano).

Per quanto riguarda gli usi finali gli incentivi per “promuovere la sostituzione di veicoli meccanici obsoleti e a bassa efficienza con veicoli alimentati a metano/biometano” vanno finalizzati solo ai mezzi agricoli, mentre va evitata la “promozione della produzione e del consumo di biometano nei settori industriale, terziario e residenziale” perché l’uso del biometano va riservato solo agli usi non elettrificabili, come ad esempio il trasporto pesante, o quelli industriali obbligati, come ad esempio la chimica.

Mobilità sostenibile

(molti possibili riferimnti alla realtà alessandrina a cominciare dall'esperienza ormai decennale con la "TRT Engineering")

Per sviluppare un trasporto locale più sostenibile sono previsti 8,58 mld di euro. Per il trasporto rapido di massa sono previsti 3,6 miliardi di euro, 750 milioni di euro per le ricariche elettriche (per realizzare 13.750 punti di ricarica nelle aree urbane e 7500 nelle superstrade), 3,64 miliardi di euro per il rinnovo delle flotte di bus e treni (53 treni elettrici). Per la leadership industriale e la R&S 2 miliardi di euro, di cui 1 miliardo per rinnovabili e batterie, 450 milioni di euro per idrogeno, 300 milioni di euro per bus elettrici. È negativo il giudizio sulle risorse destinate alla mobilità ciclistica: 600 milioni di euro per realizzare soli 570 km di ciclabili urbane (quando nei Pums ne sono previsti 2500) e 1200 km di turistiche. Sono stati ridotti i km rispetto al PNRR di gennaio dove erano previsti 1000 km in città e 1626 km turistici.

Anche i risultati per il rilancio del trasporto su ferro saranno modesti, con soli 11 km di nuove metro e 85 km di tram. E non viene spiegato in quale contesto si pongono, visto che il Paese non ha un piano per rilanciare queste infrastrutture. Per il rinnovo del parco circolante si prevede di acquistare 3360 bus a basse emissioni (erano 5.159 nel piano di gennaio con 358 a idrogeno) e 53 treni (nella versione di gennaio erano 59 elettrici e 21 a idrogeno).

Davvero poco e servirebbe che si spiegassero i numeri del resto delle politiche che si intendono attuare al 2030 per dare coerenza alle scelte. Limite delle azioni su energia e mobilità è che manca una strategia che spieghi come si accelererà nelle rispettive direzioni di cambiamento.

Non si spiega come cambieranno le politiche ordinarie per avere un quadro coerente né c’è l’impegno ad affidare al PNIEC questo ruolo.

Infrastrutture per una mobilità sostenibile

All’interno della missione 2 sono previsti 28,3 miliardi di euro per la rete ferroviaria ad alta velocità/capacità (di cui 24,77 dal Pnrr e 3,2 dal Fondo complementare) e 3,15 miliardi di euro per l’intermodalità e la logistica integrata (di cui 0,36 dal Pnrr e 3,13 dal Fondo complementare).


(Passaggi fondamentali su cui occorre fare chiarezza, differenziando interventi realmente utili, anche tramite "grandi opere" ed altri meramente speculativi o peggio).

Nella proposta di gennaio le risorse per le ferrovie erano pari a 28,3 mld, tutte dal Pnrr, e quelle per l’intermodalità e la logistica integrata erano pari a 3,68 miliardi, tutte dal Pnrr.

Nello specifico 8,57 miliardi di euro sono destinati all’alta velocità al Nord e di collegamento con l’Europa, 4,64 miliardi di euro al Sud, 1,58 miliardi di euro per le connessioni diagonali, 2,97 miliardi di euro per il potenziamento dei nodi metropolitani, 940 milioni di euro sulle linee regionali, 2,97 miliardi di euro per interventi tecnologici sulla rete, 2,4 miliardi di euro per l’elettrificazione e potenziamento delle linee al Sud, 700 milioni di euro per le stazioni al Sud. Il PNRR finanzia cantieri di tratte nazionali e internazionali ad alta velocità che possono essere terminate entro il 2026.
(passaggi tutti di una enorme rilevanza)

Alcuni di questi interventi appaiono non prioritari rispetto al rafforzamento della mobilità sostenibile nelle aree urbane, diversi appaiono molto costosi e senza una seria analisi costi benefici. Invece valutiamo positivamente gli interventi su Ermts (European Rail Traffic Management System/European Train Control System), di elettrificazione al sud, sulle linee regionali, sulle stazioni. Appaiono positivi anche gli interventi sulla logistica 

Problematica la riforma che si intende promuovere per l’approvazione dei progetti: prevede l’esproprio già alla fase preliminare del progetto di fattibilità, per accelerare le fasi successive, quando vi potrebbero essere modifiche legate a aspetti ambientali rilevanti. E nulla si dice del dibattito pubblico rispetto a opere di questa dimensione.

Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici

Complessivamente le risorse sono pari a 22,26 miliardi di euro, di cui 15,22 dal Pnrr, 0,32 dal React Eu, 6,72 dal Fondo complementare. Nella proposta di gennaio le risorse erano pari a 29,55 miliardi di euro, di cui 29,23 dal Pnrr e 0,32 dal React UE. Nello specifico per il patrimonio pubblico si stanziano 800 milioni di euro per le scuole e 410 milioni di euro per gli edifici giudiziari. Davvero poche risorse per le scuole: si interviene su 195 scuole, poche rispetto al patrimonio complessivo e anche qui manca un piano per accelerare gli interventi al 2030.

Giusto intervenire sui carceri, sono 48 gli interventi previsti. Mancano però interventi su tutti gli altri edifici pubblici, la cui spesa energetica è enorme e gli interventi sono pochi. Per il patrimonio privato si stanziano 13,8 miliardi di euro per il superbonus 110% a cui si aggiungono 200 milioni di euro per il teleriscaldamento. Nel privato si prevede una proroga di 6 mesi del superbonus (dicembre 2022 per il privato, giugno 2023 per l’edilizia residenziale pubblica), per arrivare a riqualificare 50mila edifici/anno. Non si prevedono riforme, quando il superbonus premia miglioramenti dell’efficienza inadeguati a fronte del più generoso incentivo al mondo (il minimo sono le due classi, in un Paese che ha larga parte del patrimonio in classe F/G, e si premiano anche le caldaie a gas fossile) e quando molti interventi sono bloccati per procedure complicate di accesso all’incentivo.

Occorre prorogare al 2025 il superbonus per i privati, migliorando l’efficienza e semplificando l’accesso supportando gli interventi sul patrimonio di edilizia residenziale pubblica. E’ prevista una riforma per semplificare gli interventi di riqualificazione energetica, ma è davvero debole. Non sono previste risorse per il fondo efficienza energetica, in modo da aiutare l’accesso al credito alle famiglie e alle piccole imprese. Non ci sono indicazioni per la semplificazione degli interventi di retrofit degli edifici, che incontrano oggi enormi ostacoli.

Tutela del territorio e della risorsa idrica


(anche qui molte cose da approfondire sulla base delle esperienze delle Autorità di Bacino, dei vari Piani presentati dall'AiPO e sulla tendenza a parcellizzare e a liberalizzare l'insieme degli interventi, al di là di un piano completo e coordinato).

Prevenire e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici sui fenomeni di dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità del territorio In questa missione componente sono previsti 2,49 miliardi di euro per misure di gestione del rischio alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico e 6 miliardi di euro per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni, per un totale di 8,49 miliardi di euro.

Gestione del rischio
Gli investimenti per la gestione del rischio alluvione e riduzione del rischio idrogeologico sono accompagnati da una riforma che semplifichi e acceleri le procedure di attuazione degli interventi. Non è chiaro però come verranno utilizzate le risorse, visto che la ratio è quella di intervenire in modo preventivo attraverso un ampio e capillare programma di interventi strutturali e non strutturali.

Mancano indirizzi o voci specifiche riguardo la “progettazione” degli interventi strutturali, tasto dolente di tutti i piani presentati negli ultimi decenni.

Per spendere bene i soldi servono progetti di qualità da mettere in campo da subito, altrimenti il rischio che si corre è quello di realizzare opere poco efficaci, costosissime e puntuali (che risolvono il problema solo nel punto dell’intervento spostando il problema più a monte o più a valle) come è stato fatto fino ad oggi.

Servono nuovi schemi e approcci che puntino su una progettazione integrata, a scala di bacino e che sia reale espressione delle misure non strutturali previste dal Piano stesso,  che riguardano il mantenimento del territorio (preservando gli spazi e le funzionalità naturali laddove possibile), riqualificando il territorio (delocalizzando, dando spazio a fiumi e corsi d’acqua, riducendo il consumo di suolo e restituendo permeabilità laddove è stata tolta), aumentando le conoscenze di base attraverso il monitoraggio.

Solo in questo modo si può fare realmente prevenzione.

Quanto alla riforma è condivisibile mettere mano innanzitutto alla governance ma non si evince ancora come e con quali ruoli: troppe le competenze e accontentare tutti crea solo un imbuto difficilmente superabile.

Servirebbe mettere le Autorità di Distretto al centro della macchina, dotandole di maggiori competenze, professionalità e poteri (di pianificazione e controllo sugli interventi) così da operare su scala di bacino in maniera “sovraordinata” rispetto a Regioni, Province, Comuni e altri enti. Salvaguardare la qualità dell’aria e la biodiversità del territorio attraverso la tutela delle aree verdi, del suolo e delle aree marine Inquinamento atmosferico Per garantire la qualità dell’aria sono annunciate misure di accompagnamento che però non sono indicate.

Se fossero quelle già utilizzate nell'accordo di bacino padano, riprese anche in altri accordi di programmi specifici fatti con altre regioni, l'emergenza smog è destinata a durare ancora decenni. Infatti, le misure previste fino ad ora sono state inefficaci, derogate costantemente da regioni e comuni, inapplicate per la maggior parte dei casi, senza controlli di rispetto delle limitazioni previste e incomplete dal punto di vista dei settori emissivi (industriale, portuale ad esempio). (tematica assolutamente da riprendere in ambito ligure)

Un piano (National Air Pollution Control Programme) l'Italia lo ha già presentato pochi mesi fa sul tema della riduzione delle emissioni ed era il copia e incolla dell’accordo di bacino padano.

La riforma non può basarsi sulla replicabilità di quel piano praticamente inutile. Tutela delle Risorse idriche Al ciclo idrico integrato vengono destinati 1,5 miliardi di euro di cui 900milioni di euro per le perdite di rete e 600 milioni di euro per fognature e depurazione. Gli investimenti sono accompagnati da una riforma sulla capacità gestionale dei Siti Idrici Integrati. Si parla di “digitalizzazione delle reti” idriche per renderle “reti intelligenti”. Manca però la pianificazione della sostituzione e ammodernamento delle reti esistenti (correttamente analizzate come vetuste). Obiettivo previsto per le acque potabili è quello di raggiungere -15% di dispersione su 15mila km di rete. Vista la media nazionale e le punte di alcuni territori bisogna alzare il livello di efficientamento (obiettivo almeno il 30%, con punte anche del 40% in alcuni territori) e quindi aumentare le risorse necessarie.

Quanto alla depurazione si fa riferimento all’efficacia della depurazione (ovvero miglioramento del già esistente), ma mancano gli indirizzi e le voci per intercettare quello che ad oggi non è ancora collettato e quindi non va negli impianti. La media annuale delle cifre messe in campo per i prossimi anni corrispondono a poco più di quello che annualmente paghiamo per le diverse procedure di infrazione a nostro carico sul tema.

Servirebbero investimenti 2 o 3 volte superiori per accelerare le operazioni e conseguentemente ridurre le multe.

Altro tasto dolente, che andrebbe programmato e previsto nella serie di interventi del piano, è la separazione delle reti fognarie in base all’uso (civile e industriale) e in funzione della tipologia di refluo (acque bianche, grigie e nere). Questo per rendere più efficiente il lavoro depurativo degli impianti e per aumentare il riutilizzo delle acque nei processi industriali.

La riforma che si pone l’obiettivo di omogeneizzare ed efficientare il sistema idrico integrato rendendolo un modello maggiormente industrializzato è necessaria, ma deve essere privilegiata la gestione pubblica. Tale riforma deve già includere, allocando specifiche risorse, il modello di gestione che deriverà dal recepimento della nuova direttiva sulle acque potabili (2020/2184) attraverso la ratifica da parte dell’Italia del Protocollo 

Acqua e Salute OMS-UNECE (United Nations Economic Commission for Europe) e dall’approvazione al 2027 dei Piani di Sicurezza dell’Acqua (WSP) su tutto il territorio nazionale, verificando che questi siano adottati da grandi e piccoli gestori.

Tali strumenti prevedono l’introduzione di un sistema integrato di prevenzione e controllo esteso all’intera filiera idropotabile, permettendo così di superare l’approccio del controllo “a valle”, di prevenire fenomeni di inquinamento, di prevenire situazioni di rischio connesse con la contaminazione delle fonti. Approvvigionamento idrico, invasi, gestione della risorsa Rispetto alla precedente bozza del PNRR le risorse sono state ridotte da 4,4 miliardi di euro agli attuali 2,8 miliardi di euro. Comprendono sia interventi sulla sicurezza dell’approvvigionamento, per 2 miliardi di euro, che interventi per una migliore gestione delle acque in agricoltura per 880 milioni di euro. Mancano riferimenti al tema dell’utilizzo da parte dell’industria, pur citato nella premessa.

Il ridimensionamento degli investimenti può rappresentare una svolta positiva (nel Piano si fa riferimento a “75 progetti di manutenzione straordinaria e nel potenziamento e completamento delle infrastrutture di derivazione, stoccaggio e fornitura primaria”) se, e lo capiremo quando saranno resi noti i progetti nel dettaglio, fosse confermata una selezione degli interventi, dando priorità e risorse solo a quegli interventi di adeguamento e completamento di invasi esistenti, ammodernamento, allacci e messa in funzione, pulizia dai sedimenti, etc.. Ovvero a tutti quegli interventi che permetterebbero di far funzionare o di rendere nuovamente efficaci le strutture esistenti, in particolare al centro-sud. Non servono né la costruzione di nuovi bacini né sbarramenti lungo i corsi d’acqua, che sarebbero in molti casi in contrasto anche con la tutela degli ecosistemi fluviali, oltre alla direttiva quadro acque o alla strategia al 2030 sulla biodiversità, citate come punti di riferimento nella descrizione degli investimenti. E’ importante che ci sia anche una profonda revisione dell’attuale utilizzo dell’acqua in agricoltura. Su questo il Piano stanzia 880 milioni di euro. Si parla di miglioramento di efficienza nei sistemi irrigui, contatori e controlli sui prelievi e sugli usi. Non sono però presi in considerazione innovativi sistemi di risparmio idrico né interventi sulla scelta di colture meno idro-esigenti che tengano conto delle disponibilità territoriali di acqua o di riutilizzo delle acque reflue, visto che nella stessa componente si parla anche di depurazione.

Conseguentemente, per il riutilizzo delle acque reflue va previsto tra le riforme la revisione del DLGS 185/2003. La misura è accompagnata da un impegno ad intervenire sulla normativa per rendere più veloce l’attuazione degli interventi, partendo da una revisione in termini di semplificazione, governance e modalità di finanziamento del Piano Nazionale per gli interventi nel settore idrico (Legge 205/2017, articolo 1, comma 516 e seguenti). Sarebbe importante inserire anche, sempre in termini di governance, il tema della partecipazione pubblica (richiesta dalla direttiva quadro acque e ripresa da strumenti riconosciuti anche dal nostro impianto normativo, quali i contratti di fiume) e la verifica riguardo la coerenza di questi interventi che interessano i corpi idrici con le direttive, acque, alluvioni, o habitat.


Biodiversità
L’investimento per il ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini è pari a 400 milioni di euro e va nella direzione di raggiungere gli obiettivi dell’UE sulla protezione della biodiversità al 2030. L’intento è di rafforzare la ricerca e la conservazione degli ecosistemi marini e costieri, con la mappatura e il monitoraggio del 90% di essi e il restauro del 20%. Tale intervento è necessario estenderlo anche agli ecosistemi terrestri riallocando le risorse disponibili nella stessa componente privilegiando la protezione della natura e della biodiversità dai cambiamenti climatici. Per la tutela del verde urbano ed extraurbano è previsto un investimento di 330 milioni. Sebbene sia una misura opportuna e necessaria per sviluppare boschi urbani e periurbani, non si comprende perché le azioni siano rivolte principalmente alle 14 città metropolitane e non invece a tutte le città, comprese quelle della 10 Pianura Padana considerata, a ragione, tra le zone più critiche per l’inquinamento atmosferico.

Anche la scelta di realizzare la misura solo attraverso la piantagione di alberi ci pare limitante per garantire una efficace tutela della biodiversità che può essere realizzata, ad esempio, con la creazione di altre connessioni ecologiche attraverso zone umide, ecosistemi acquatici, paesaggi agrari. L’investimento di 100 milioni di euro punta alla digitalizzazione dei 24 parchi nazionali e delle 31 aree marine protette.

È una misura fondamentale per raggiungere prestazioni di buona gestione e monitoraggio, previsti a livello comunitario e richiamati nel PNRR, ma deve interessare tutte le aree naturali del nostro Paese comprese quelle a gestione regionale, sottovalutate e scarsamente finanziate dalle stesse Regioni. Per la rinaturalizzazione dell’area del Po sono destinati 360 milioni di euro. Rappresenta un primo intervento in una delle sei aree vaste prioritarie individuate nel nostro Paese per la connessione ecologica e l’adattamento ai cambiamenti climatici.

Proprio per il ruolo di area pilota occorre maggiore ambizione, prevedendo interventi realmente efficaci basati su soluzioni naturali (NSB), stabilendo i chilometri di fiume a scorrimento libero che si vogliono ripristinare, le aree demaniali oggi occupate che si intendono liberare per creare una rete ecologica efficace a prevenire le alluvioni.

Sull’area del Po vanno applicati i principi delle direttive comunitarie, compresa la direttiva habitat che non viene citata. Per rafforzare la capacità previsionale degli effetti del cambiamento climatico è previsto un investimento di 500 milioni di euro con cui realizzare un sistema avanzato ed integrato di monitoraggio e previsione.

Per essere efficace il sistema deve essere centralizzato e unitario, in grado di superare l’attuale dispersione di informazioni con banche dati separate che non dialogano tra loro. Pur apprezzando i singoli interventi per la tutela della Biodiversità, l’azione appare poco ambiziosa, non pone obiettivi chiari per la crescita delle aree protette, come prevedere una tutela efficace del 30% per le aree terrestri e il 10% gestito secondo una tutela integrale. Non si fa cenno al rilancio delle strategie di sistema a partire da quello degli Appennini, visto il ruolo strategico che svolge per combattere il cambiamento climatico, riservando un investimento diretto com’è stato previsto per l’area vasta del Po.

Sulle misure a favore della biodiversità si continua ad assecondare l’idea che lo Stato si debba limitare a finanziare solo le aree protette nazionali abbandonando quelle regionali al loro destino e oblio.

Niente di più sbagliato, così facendo si omette di ricordare che la tutela della biodiversità è un interesse generale del Paese: vanno finanziate tutte le aree protette (nazionali e regionali) perché unitariamente rappresentano lo strumento più efficace per gestire la natura.

Tocca allo Stato garantire risorse adeguate per la tutela di specie e habitat, attraverso una strategia condivisa con le Regioni, superando limiti legislativi e conflitti di competenze, e puntando all’efficacia delle azioni.

L’attuazione del PNRR deve saper coinvolgere le Regioni in un percorso condiviso le quali, utilizzando la programmazione 2021/2027, potranno continuare garantendo azioni complementari e spesa aggiuntiva per moltiplicare gli effetti positivi.

Bonifica dei siti orfani
Una novità importante che introduce l’attuale PNRR è la voce bonifica dei siti orfani, prevedendo un investimento di 500 milioni di euro. Alla luce del numero molto rilevante di siti orfani nel paese, si pensi ad esempio alle centinaia di discariche abusive che descriviamo ogni anno con il Rapporto Ecomafia, questa cifra è assolutamente sottodimensionata se vogliamo liberarci da tanti veleni in troppi territori.

Nel PNRR viene evidenziato l’obiettivo di “dare al terreno un secondo uso, favorendo il suo reinserimento nel mercato immobiliare”. Il risanamento di un sito industriale inquinato e orfano non deve avere come unico sbocco il mercato immobiliare, anzi deve essere prioritariamente pensato per un nuovo uso produttivo e/o per interventi basati sulla natura (NBS-Nature based solution), per trasformarle da aree grigie (con cemento e asfalto) in aree verdi e/o foreste urbane. Inoltre, non è chiaro cosa si intenda con “reali necessità di bonifica”, termine usato nel descrivere l’intenzione di utilizzare “le migliori tecnologie innovative di indagine”.

Si deve evitare di far ripartire la stagione delle caratterizzazioni che ha contraddistinto i primi 10 anni del Piano nazionale di bonifica (lanciato nel 1998) perché ha prodotto solo a una rilevantissima attività di campionamento e analisi di terreni e acque di falda, e una copiosissima quantità di dati difficile da gestire.

Tutto ciò ha rallentato enormemente le successive fasi di progettazione ed esecuzione degli interventi accumulando insopportabili ritardi nelle bonifiche del nostro Paese.

Si fa riferimento alle aree industriali dismesse anche per “Promuovere la produzione, la distribuzione e gli usi finali dell’idrogeno” per cui vengono stanziati altri 500 milioni di euro.

In questo capitolo però non si fa esplicito riferimento alle attività di risanamento ambientale, che sono ovviamente imprescindibili per realizzare le hydrogen valleys, definite nel PNRR come “aree industriali con economia in parte basata su idrogeno”.

Per sbloccare lo stallo delle bonifiche nel nostro paese si deve promuovere in primis un’attività di formazione e di integrazione delle competenze nelle tecnostrutture delle Regioni e dei Comuni, che hanno competenze autorizzative sulle bonifiche di interesse regionale e comunale. In caso di interventi di particolare complessità va previsto un affiancamento da parte delle strutture tecniche sovraordinate come il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente.

Deve inoltre essere ulteriormente rafforzato l’organico della Direzione generale per il risanamento ambientale del Ministero della Transizione Ecologica che coordina le attività di bonifica sui Siti di interesse nazionale, sui siti orfani e sulla Terra dei fuochi.
(tematica ora di interesse anche nel nord Italia per le note vicende legate a reti di 'ndrangheta, camorra e mafia. )

Tra le semplificazioni da adottare nel decreto che seguirà l’approvazione del PNRR non possono non esserci alcuni passaggi ridondanti negli iter di valutazione e autorizzazione dei progetti di bonifica. Inclusione e coesione Infrastrutture sociali, famiglie, comunità, terzo settore

Si prevedono risorse pari a 9,02 miliardi di euro per rigenerazione urbana e housing sociale, di cui 3,3 miliardi di euro per progetti di rigenerazione, 2,92 miliardi di euro per piani integrati, 2,8 per il programma innovativo qualità dell’abitare. E’ positivo che questa voce sia aumentata rispetto a gennaio (era 6,3 mld).

Inoltre, si stanziano risorse per i Comuni che possono progettare e avviare progetti di rigenerazione, con particolare attenzione alle periferie delle città metropolitane e alla riqualificazione e ampliamento del patrimonio residenziale pubblico.

Positiva è la previsione di una riforma che intervenga sulla questione degli insediamenti abusivi dei lavoratori agricoli.

Manca però una riforma che dia coerenza alla rigenerazione urbana e all’edilizia residenziale pubblica, con un ruolo più chiaro e incisivo delle politiche nazionali che oggi risultano discontinue e non coordinate. Istruzione e ricerca Rispetto al precedente PNRR la missione 4 destinata all’Istruzione e alla ricerca vede un incremento di fondi che passano da circa il 12% sugli investimenti totali al 17%, pari a 33,81 miliardi di euro di cui 30,88 miliardi di euro dal PNRR, 1,93 miliardi di euro dal React EU, 1 miliardo di euro dal Fondo complementare.

Sono molte le iniziative positive dedicate all’istruzione, il limite però è che non si riesce a cogliere quanto realmente vada ad incidere in modo permanente sulla qualità diffusa di tutto il sistema.

Per gli Asili nido l’investimento di 4,6 miliardi di euro permetterebbe l’incremento di 228.000 posti nei nidi.

Non vengono però indicate le aree territoriali interessate dall’incremento, con quale logica e metodo. Per quanto l’obiettivo numerico sia importante non riusciremo a raggiungere il 60% di copertura della media europea.

Edilizia scolastica.
Per la messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole sono previsti 3,90 miliardi di euro, cifra inferiore rispetto al precedente PNRR.

È prevista una ulteriore voce di 800 milioni di euro per l’efficientamento energetico degli edifici, senza però stabilire criteri e metodo di attribuzione, per cui non è possibile fare una valutazione qualitativa delle ricadute degli interventi. 

Ottimo il piano straordinario su palestre e mense (960 milioni di euro) e quindi, incremento del tempo pieno, anche se non si andrà a soddisfare il fabbisogno nazionale, salvo la scelta di intervenire su specifiche aree particolarmente deprivate di servizi. Risulta invece esaustiva la misura che vede il cablaggio di 40mila edifici scolastici, praticamente la totalità.

È pienamente condivisibile la formazione obbligatoria per i docenti.

Il problema è: che tipo di formazione per quali finalità educative? Si prevede un raddoppio delle risorse dedicate alla formazione sulla DAD e all’acquisizione più in generale delle competenze digitali dei docenti. È un nodo controverso che ha bisogno di essere sciolto perché cela il pericolo di proseguire con un tempo scuola a distanza per motivazioni che potrebbero essere non certo di qualità dell’apprendimento.

La DAD non è il principale problema della qualità dell’insegnamento. Non si fa però cenno a due azioni che potrebbero fare la differenza nella qualità del sistema di istruzione: - la diminuzione degli studenti per classe, che consentirebbe una didattica più personalizzata, attiva e cooperativa; - la formazione dei docenti finalizzata ad acquisire le competenze che incidono sulla qualità dell’insegnamento, per esempio, saper lavorare in equipe, progettare percorsi interdisciplinari, lavorare per competenze.



Del presente documento si autorizza la pubblicazione e diffusione (anche  parziale) senza particolari vincoli, se non la citazione puntuale delle fonti. plcavalchini

Genova .  29  gennaio  2022.

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Il testo è ripreso da "Obiettivo Ambiente" giu. 2021. Mensile di Pro Natura Piemonte.   
Origine: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/04/Documento-Legambiente-su-PNRR.pdf
 

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