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Parte terza.    Thpma Piketty

La grande trasformazione del XX secolo. Cap.10. La crisi della società dei proprietari. In questa terza parte si esamina il cambiamento della struttura delle disuguaglianze nel XX secolo. Il XX secolo è stato caratterizzato dalla fine del colonialismo e dall’entrata in contatto tra loro di società e cultura in precedenza separate.Nei 30 anni tra il 1915 e il 1945 è sparita la proprietà privata nei sistemi socialisti e si riduce nei paesi diventati socialdemocratici; gli imperi coloniali sono in via di smantellamento; al potere degli Stati europei si sostituisce il confronto mondiale USA-URSS. Innanzitutto le tendenze. All’inizio del secolo il 10% dei più ricchi deteneva in USA e in Europa circa il 50% del reddito per scendere attorno al 35% (USA) e 28% (Europa) negli anni ’70 e risalire poi costantemente al 48% (USA) e 35% (Europa), dati del 2012. Per i patrimoni le differenze sono ancora più marcate: il 10% dei più ricchi possedeva l’80-90% della ricchezza nel 1900, scesa al 50- 55% per l’Europa e al 62% per gli USA nel 1990, per poi risalire di poco in Europa (circa il 52-57%) e riprendere vigorosamente in USA (74%). La deconcentrazione dei patrimoni in Europa ha influito sui redditi, riducendo le disuguaglianze. 

Il collasso dei patrimoni nel periodo 1914-1945 è dovuto a vari fattori. Innanzitutto per una forte contrazione degli investimenti finanziari all’estero, da cui derivava un reddito significativo e in secondo luogo per la distruzione di edifici dovuta alla guerra (un terzo o un quarto delle perdite patrimoniali).

Però i due fattori principali sono:

1) espropri, nazionalizzazioni e imposte progressive;

2) scarsi investimenti privati (perché le risorse erano state dirottate per la guerra).

Le nazionalizzazioni sono servite a dar vita aun settore pubblico di notevole ampiezza. Debito pubblico. Dopo la seconda guerra mondiale il debito pubblico il debito pubblico ammontava al 150% del reddito nazionale negli USA, al 180% in Germania, al 279% in Francia e al 310% nel Regno Unito. Il periodo tra le due guerre fu un periodo di forte inflazione (il 13% annuo in Francia e il 17% in Germania) che servì a coprire i debiti della prima guerra. Nel Regno Unito l’inflazione fu più bassa così che l’inflazione e il debito pubblico continuarono fino agli anni settanta. Però dopo la 1^ Guerra mondiale si introdusse anche l’imposta progressiva che, a differenza dell’inflazione, ha il vantaggio di gravare in modo diverso sui poveri e sui ricchi. (Tra il 1815 e il 1914 le società europee entrarono in una fase di “sacralizzazione” della proprietà durante la quale la semplice ipotesi di non pagare un debito era considerato una bestemmia).

Si può pagare il debito con l’avanzo primario del bilancio, ma in genere non è la scelta migliore, perché generalmente aumenta la disuguaglianza.

L’imposta progressiva viene instaurata con la 1^Guerra mondiale. Nel 1900 le aliquote sui redditi e sui patrimoni erano inferiori al 10%, nel 1920 variavano tra il 30% e il 70% per i redditi più alti e tra il 10% e il 40% per i patrimoni più alti. In Francia per i redditi il tasso più alto fu del 50% nel 1920, del 60% nel 1924, del 72% ne 1925 (il grande salto del 1920 fu deciso dalla destra, una volta decisamente contraria, a causa della situazione del dopoguerra: paura delle masse che scioperavano e paura della Rivoluzione russa).

Le tasse progressive hanno portato a una riduzione del patrimonio e a una loro minore concentrazione. Ne Regno Unito, analogamente, negli anni venti e trenta, le aliquote sui redditi raggiungevano il 50-60% e per le successioni il 40-50%: ciò obbligava i possessori dei maggiori patrimoni a venderne una parte. In questo secondo dopoguerra le aliquote massime sul reddito sono salite sino al 90% e quella sulle successioni all’80%. Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno svolto un ruolo trainante a riguardo. Nel dopoguerra era diffusa la convinzione che la democrazia dovesse essere accompagnata da una forte politica fiscale per non cadere ostaggio degli interessi finanziari e oligarchici. Nel 1919 il presidente della Americano Economic Association sosteneva che la crescente concentrazione di ricchezza stava diventando il principale problema dell’America che rischiava di diventare come l’Europa (considerata negativamente per le sue disuguaglianze).

Le entrate fiscali totali si pongono oggi tra il 30% degli USA , il 40% del Regno Unito, il 45% della Germania e il 50% per Francia e Svezia. Questo livello elevato deriva dalla crescita dello Stato sociale, iniziato negli anni tra le due guerre, ma manifestatosi decisamente dopo la seconda guerra mondiale (conosce l’apice nel 1980, per poi rimanere stabile) Questo è dipeso da un radicale mutamento dei rapporti di forza politicoideologici.

Lo sviluppo della tassazione progressiva, che ha consentito lo Stato sociale, non ha per nulla impedito lo sviluppo, perché il capitale è stato ugualmente accumulato, in parte dallo Stato e 17 in parte dalle classi inferiori. Anche la reazione alla Prima Guerra mondiale haavuto un effetto fondamentale nelcambiamento. Ad esempio, quasi ovunque estende il diritto di voto a tutti i maschi adulti (Regno Unito, Danimarca, Olanda nel 1918; Svezia, Italia, Belgio nel 1919). Lo Stato sociale ebbe poi un forte sviluppo all’arrivo al potere dei partiti socialdemocratici.(In quegli anni Polanyi critica l’idea della autoregolazione dei mercati e propone invece la loro integrazione).

L’Autore si sofferma poi sulla crisi delle società europee e dell’imperialismo. Il debito imposto alla Germania nel 1918 era ultra-esorbitante, pari al 300%delle entrate nazionali e controproducente anche per la Francia (la Germania avrebbe dovuto produrre così tanto da invadere i mercati europei). Il crollo delle società proprietariste fu la conseguenza di un doppio fallimento: 1) la disuguaglianza estrema; 2) la crisi degli Stati-nazione europei. Secondo la Arendt questi Stati sono stati travolti dalla internazionalizzazione che loro stessi avevano sviluppato, mentre il successo sovietico e nazista deriva dal fatto che questi sistemi avevano già un progetto internazionale. Il fallimento dei socialdemocratici deriva dal non aver capito la necessità di sviluppare forme federative internazionali.

Questa analisi ci porta anche alle enormi carenze dell’attuale situazione dell’Unione Europea. Sul federalismo ci sono stati purtroppo dibattiti inconcludenti.

Cap.11. Le società socialdemocratiche: l’uguaglianza incompiuta. Tra il 1950 e il 1980 i cosiddetti paesi capitalistici diventano di fatto delle società socialdemocratiche, ma a partire dagli anni ’80 hanno perso la loro vitalità. La causa del loro fallimento deriva da:

1) i tentativi di istituire nuovi poteri nelle aziende sono rimasti confinati a pochi Stati;

2) l’accesso paritario alla formazione, soprattutto nella scuola secondaria e l’università non è stato garantito;

3) non si è riusciti a dar vita a forme federative transnazionali.

I sistemi, e soprattutto i partiti, sono diversi negli Stati europei, ma sostanzialmente tutti hanno visto un’integrazione sociale della proprietà (welfare) e pertanto possono essere assimilati alla socialdemocrazia. Questo termine è sempre più associato a una sostanziale rinuncia a superare il capitalismo.

Per gli USA si può parlare di socialdemocrazia al ribasso considerando i pochi benefici sociali di ordine universalistico. L’Europa è l’area dove la disuguaglianza è aumentata di meno, si può dire grazie al modello protettivo socialdemocratico, ma dal 1980 il trend si sta invertendo. Molti istituti della socialdemocrazia sono stati introdotti nel dopoguerra, ma senza una visione coerente.

Proprietà. Per superare il sistema fondato sulla proprietà privata sono possibili tre soluzioni:
1) passaggio alla proprietà pubblica;
2) proprietà sociale cioè partecipazione dei dipendenti;
3) proprietà temporanea (togliere ogni anno ai più ricchi per redistribuire soprattutto ai giovani).

Per la proprietà sociale i paesi più avanzati sono Germania e Svezia, seguiti da Austria, Danimarca e Norvegia. La legge fondamentale tedesca del 1949 prevede che il diritto di proprietà è legittimo se contribuisce al benessere generale della comunità (ciò che ha consentito la cogestione). Perché non si è diffusa?
1) Concedere una parte di potere delle aziende senza possedere quote di capitale mette in discussione il principio stesso della proprietà (Meglio allora estendere il possesso delle 18 azioni anche ai lavoratori).
2) Le forze politico-sociali degli altri paesi non erano sufficientemente determinate. In Francia, per esempio, si sono preferite le nazionalizzazioni e le pubblicizzazioni.

C’è stata una proposta europea nel 1972 con una direttiva che prevedeva consigli di amministrazione composti da 1/3 di dipendenti, ma è stata abbandonata. In Inghilterra nel 1977 la Commissione Bullock aveva proposto la soluzione “2x+y”, cioè un numero uguale di rappresentanti aziendali e dei lavoratori, più un certo numero nominato dallo Stato. Sono poi da considerare le cooperative e il terzo settore, per i quali appare necessaria una riforma fiscale in quanto molte donazioni, attraverso le esenzioni, sono pagate dai contribuenti. L’istruzione superiore e universitaria aperta a tutti non si è ancora realizzata. La produttività europea che era il 50% di quella degli USA nel 1950 è diventata pari agli USA per la Francia e la Germania negli anni 60 e 70 (mentre il Regno Unito è rimasto sotto del 20%). I calcoli relativi alla produttività sono comunque insoddisfacenti. C’è poi una grande differenza negli orari: 1500 ore in Germania e Francia, 1700 nel Regno Unito, 1800 negli USA. Una volta la differenza degli USA era giustificata dalla superiorità nel campo della formazione della mano d’opera. Con ritardo, in Europa si è capita l’importanza della formazione, sia per la prosperità economica, sia per la crescita civile.

Gli Stati Uniti che una volta erano l’emblema del successo economico, sono diventati il paese della maggiore disuguaglianza: i poveri USA oggi stanno peggio di quelli europei. Il 50% dei più poveri oggi detiene solo il 12% del totale dei redditi USA a confronto del 20% in Europa. Dalla fine degli anni ’60 ad oggi i salari USA hanno conosciuto una sostanziale stagnazione. Questasituazione ha favorito l’indebitamento e di conseguenza la crisi del 2008. Le disuguaglianze negliultimi 30/40 anni sono fortemente aumentate ed è illusorio contrastarle solo con laredistribuzione ex-post. Occorre intervenire prima nella distribuzione (o pre-distribuzione) deiredditi primari. Nel 1968/70 gli USA avevano il salario minimo più alto del mondo (10$ all’ora); nel2019 è sceso a 7,20 con una perdita del 30%. Nello stesso periodo il salario minimo francese è passato da 3 a 10 euro all’ora. In USA adesso sono i singoli Stati ad elevare il salario minino(California 11&attualmente e 15$ entro il 2023). Oramai molti paesi europei superano gli USA. Rilevante è poi la disuguaglianza nell’istruzione. Gli USA negli anni cinquanta e sessanta hanno sfiorato il 100% di scolarizzazione nell’istruzione secondaria, seguita dai paesi asiatici, Giappone e Cina.

Poi però questo primato si è perso: la disuguaglianza è fortemente aumentata, perché il finanziamento è a carico delle comunità locali, molto differenziate tra loro. Negli USA il finanziamento privato delle Università si aggira attorno al 60/70% (Regno Unito 60%; Francia, Italia e Spagna 30%; Germania, Austria, Svezia, Danimarca, 10%). Negli USA i finanziamenti privati hanno determinato differenze enormi tra le Università. I capitali e relativi interessi delle maggiori Università sono impressionanti. Ciò spiega perché gli USA abbiano le 20 migliori Università del mondo; però poi molte altre hanno livelli decisamente mediocri.I donatori hanno di fatto, se non formalmente, il diritto a iscrivere i loro figli.In altre forme le disuguaglianze esistono anche nei paesi europei; si è stabilita la possibilità di accesso all’Università per tutti, ma poi non sono stati messi a disposizione i finanziamenti per realizzare questo obiettivo. Confrontando redditi e 19 istruzione si può dire che si è avuto maggiore sviluppo quando è cresciuta l’istruzionee così per l’uguaglianza. Sul piano della proprietà la scelta fondamentale della socialdemocrazia è stata quella di concentrarsi sulla proprietà pubblica, trascurando due altre leve fondamentali: la fiscalizzazione e la partecipazione nelle aziende. Sul piano europeo la socialdemocrazia ha sostanzialmente accettato il principio della concorrenza e del mercato comune, ma non ha saputo spingersi più i là e oggi l’Europa è a un punto fermo.

La regola dell’unanimità la paralizza e intanto dilaga il dumping fiscale, in mancanza di regole fiscali comuni. Si sono liberalizzati i movimenti di capitali senza regole di controllo e di compensazione. Così i patrimoni continuano a concentrarsi, mentre è fortemente diminuita la progressività. Si possono distinguere tre grandi categorie di imposte progressive: sul reddito, sulle successioni e annuale sulla proprietà. Dato l’aumento dei patrimoni privati, la questione dell’imposta progressiva sarà sempre più centrale. Tutte le proprietà hanno un carattere sociale, perché sono legate alla divisione del lavoro e dal capitale di conoscenze accumulato. Le vecchie tasse sulla proprietà, francese (tassa fondiaria) e americana (property tax), tuttora vigenti, sono inadeguate anche se danno un discreto introito (dal 2 al 2,5% del reddito nazionale), innanzitutto perché sono proporzionali e poi perché sono tasse sul patrimonio indipendentemente dal reddito che ne deriva e non comprendono tutti i beni (in genere sono esclusi gli asset finanziari). In USA l’enorme crescita della disuguaglianza spinge all’introduzione di un’imposta progressiva: ci sono delle proposte in corso per le elezioni del 2020. In Francia l’imposta fondiaria è stata più volte cambiata;da ultimo è stata trasformata in IFI, esentando totalmente gli investimenti finanziari (cioè la quasi totalità degli investimenti più cospicui). Nel Regno Unito esiste una tassazione fortemente progressiva sulle transazioni immobiliari; nei paesi del Nord Europa le imposte patrimoniali o non esistono o sono molto basse. Cap.12. Le società comuniste e post-comuniste. Il comunismo sovietico è per l’abolizione della proprietà privata e la sua sostituzione con la proprietà statale. Studiamo il suo fallimento e la sua incapacità di organizzare forme diverse di proprietà. I grandi leader del comunismo (Marx, Lenin) hanno poco studiato la transizione.

La proprietà pubblica era totale; si poteva possedere solo qualche oggetto personale; le piccole attività in nero, di vendita diretta, di artigianato, erano severamente vietate. Nel 1953, alla morte di Stalin il 5% della popolazione era in carcere, metà per furto (persone comuni, non prigionieri politici). La servitù era stata abolita dallo zar, dietro un rimborso ai proprietari. Successivamente il regime sovietico ha introdotto un sistema molto egualitario che – analogamente ai paesi occidentali – è terminato attorno agli anni ’80, quando la disuguaglianza ha ripreso a crescere e a superare quella occidentale. Nel dopoguerra il sistema sovietico gode di grande prestigio (ha vinto la guerra, non ha problemi di razzismo come gli USA, è un alfiere 20 dell’anticolonialismo, è un sistema a suo modo egualitario). Sostiene anche la parità uomo-donna attraverso il lavoro (anche se i dirigenti sono tutti uomini). Sulla proprietà la linea del regime è stata rigida, perché aveva paura che una qualsiasi apertura avrebbe aperto una tendenza irrefrenabile. E poi se i bisogni essenziali sono pochi e uniformi (mangiare, vestirsi, abitare, istruirsi) per questo non c’è bisogno di differenziazione e di autonomia. Se la società cresce, le esigenze si differenziano e lo Stato non è più in grado di gestirle. In un’organizzazione dove è riconosciuta la varietà dei bisogni e delle aspirazioni umane, la proprietà privata è necessaria. L’economia russa ha ripreso a crescere soprattutto dopo il 2000 e il reddito pro-capite è valutato attorno al 70% di quello europeo. Non esistono imposte di successione e neppure un’imposta progressiva: esiste solo un’imposta sul reddito uguale per tutti del 13%.

Il sistema dei voucher per la privatizzazione ha consentito una facile incetta, da cui la formazione di un gruppo di miliardari ultraricchi. La maggior parte dei capitali di questi miliardari si trovano all’estero; motivo per cui la Russia che ha un’eccedenza annuale commerciale del 10% (in 25 anni ha accumulato pertanto un 250% di eccedenza), ha modeste riserve finanziarie. L’illegalità è la norma e si calcola che gli asset finanziari all’estero ammontino al valore del reddito nazionale (superati solo dai paesi del Golfo). La terapia d’urto dei voucher è sta consigliata anche dal FMI, spinto soprattutto dalla paura di un eventuale ritorno al comunismo. Una soluzione socialdemocratica avrebbe realizzato una situazione maggiormente ugualitaria. Putin, al contrario, ha ritenuto che solo l’abolizione di ogni egualitarismo e socialismo avrebbe ristabilito la grandezza della Russia, che esige una struttura verticale gerarchica. L’Europa in proposito non ha fatto nulla, perché in parte è responsabile e in parte è beneficiaria di queste fughe di capitali (soprattutto Regno Unito, ma anche Francia e Germania). Cina. Facendo tesoro delle esperienze sovietiche, lo Stato cinese, che nel 1978 possedeva il 70% del capitale nazionale, ha ridotto la sua quota a poco più del 30% (nelle imprese però è al 55%, con un 33% privato e un 12% straniero). Vi sono spinte per ulteriori privatizzazioni, ma il governo cinese intende mantenere il controllo del sistema. Sulla proprietà pubblica vale la pena di soffermarsi. Il capitale pubblico in molti stati è diventato quasi nullo o negativo (il debito pubblico supera il capitale nazionale, per cui la vendita di tutti i beni dello Stato non basterebbe a coprirlo).

C’è stato un vero e proprio cambiamento di ideologia, con l’idea che i beni pubblici possano essere meglio gestiti dai privati. A partire dagli anni ’80 è stato assunta deliberatamente la strategia di aumento del debito pubblico e di riduzione del ruolo dello Stato. Un esempio è la politica di bilancio di Reagan: taglio delle tasse per le ricchezze maggiori ripagate con vendite di asset pubblici (per cui i ricchi con lo sconto delle tasse hanno comprato i beni pubblici). La deregolamentazione della finanza ha arricchito molti soggetti, ma ha indebitato le amministrazioni pubbliche, intervenute per salvare banche e imprese. In Cina è fortemente aumentata la disuguaglianza che arriva a livelli non molto dissimili dagli USA, ciò che pone forti interrogativi. In Cina vige un’imposta progressiva sul reddito che va dal 5% al 45%; però non ci sono dati analitici sulle entrate, si conosce solo l’introito totale. La misurazione dei patrimoni è ancora più lacunosa. Hong Kong, che di fatto è in mano al mondo degli affari, serve ai ricchi cinesi 21 per le loro operazioni più o meno legali. E’ presente una preoccupazione sia popolare che del regime per le tendenze plutocratiche del paese. Il regime teme che riconoscendo le elezioni si arrivi a processi di divisione di un popolo di 1,3 miliardi di persone, che non è facile tenere unito. Lo stesso vale per il partito unico (che comprende diversi nuovi ricchi) che dovrebbe perlomeno prevedere delle discussioni con una maggiore trasparenza, oggi pressoché inesistente. Europa orientale.

Ci sono meno disuguaglianze che in Russia, soprattutto perché i cambiamenti sono stati più graduali e si sono salvati alcuni istituti egualitari del passato. Il reddito medio di questi paesi è oggi circa il 60/70% di quello europeo (a parità di acquisto). Molti sono gli interventi del capitale estero e forte è la preoccupazione di questi paesi di ridursi a fornire mano d’opera a buon mercato. I salari infatti sono rimasti bassi sia per un cambiamento dei rapporti di forza sindacati-imprenditori, sia per la politica europea che prevede la libera circolazione dei capitali senza nessuna politica fiscale coordinata. Il fallimento del comunismo e l’attuale situazione favoriscono le spinte social-nativiste in atto. Cap.13. L’ipercapitalismo tra modernità e arcadia. In questo capitolo si esaminano alcune delle grandi sfide ideologiche relative alla disuguaglianza che le società devono affrontare e poi la crescente opacità economica e finanziaria del mondo attuale (specie nel misurare redditi e patrimoni).La popolazione mondiale nel 2050 secondo l’ONU sarà: Asia più di 5 miliardi, oltre 2 miliardi l’Africa, oltre 1 miliardo l’America, attorno agli 800 milioni l’Europa. La disuguaglianza attuale, misurata considerando il 10% più ricco: Qatar 68%, Sud Africa 65%, Medio Oriente 63%, Brasile 56%, India 55%, USA 47%, Russia 45%, Cina 42%, Europa 33%. L’aumento della disuguaglianza è stato accompagnato da una diminuzione del tasso di sviluppo. Per la proprietà il 50% dei più poveri detiene il 5% della ricchezza, contro il 50/60% dei più ricchi. Il Medio Oriente ha trasformato le risorse petrolifere in ricchezza finanziaria permanente ed è fra i maggiori utenti dei paradisi fiscali (assieme alla Russia). Il lavoro è quasi tutto lasciato alla popolazione immigrata. Vi è un enorme contrasto tra la religione professata e la realtà effettiva. La misura della ricchezza. E’ bene che sia realizzata in modo intuibile e comprensibile. Da qui la scelta di esprimerla in decili alti e bassi che la rendono evidente. (il coefficiente di Gini non si presenta utile). Il maggior problema è però costituito dalla mancanza di trasparenza fiscale degli Stati. La situazione poi peggiora quando si tratta di dati internazionali; la mancata trasmissione di questi dati sui patrimoni detenuti all’estero facilita l’evasione fiscale e ostacola la possibilità di valutazioni precise. Nei calcoli sarebbe preferibile usare la nozione di reddito nazionale piuttosto del PIL (colla prima si tiene conto del deperimento del capitale nazionale e dei redditi netti provenienti dall’estero). Il deperimento del capitale fisso è da considerare attorno al 15%. Si dovrebbe anche tener conto delle risorse naturali, ciò che oggi non viene fatto. Occorrerebbe poi tener conto delle disuguaglianze ambientali, per le quali la tassazione attuale è caotica e 22 inadeguata. Nel caso degli USA l’inquinamento è altissimo, ma non sembrano disposti ad assumere misure rigorose. Se il calcolo del reddito è complicato, quello dei patrimoni lo è molto di più, in particolare per i patrimoni finanziari. Mancano gli strumenti per riscontrare l’internazionalizzazione dei patrimoni. Si dovrebbe realizzare un vero “catasto finanziario”. Spesso la registrazione delle proprietà finanziarie è lasciata dagli Stati ad Agenzie private. Le banche hanno degli obblighi, ma con molte deroghe: per alcuni cespiti vigono regole ad hoc e in questo modo escono dalle rilevazioni. Negli USA il sistema è arcaico: l’indagine sui patrimoni si basa sulla autodichiarazione dei contribuenti. Nonostante l’era delle tecnologie informatiche, assistiamo a un deterioramento delle statistiche pubbliche, mentre i dati sono essenziali per decidere le politiche. Il neoproprietarismo si basa sulla libera circolazione dei capitali, congiunta all’assenza di una comune registrazione e tanto meno di una tassazione coordinata; così la concorrenza fiscale tra gli Stati viene usata per abbassare la tassazione (caso Juncker in Lussemburgo). Continua a mantenersi un’iperconcentrazione patrimoniale. Si conserva anche un forte impianto patriarcale. Fu il codice civile napoleonico a sancire l’onnipotenza legale del capofamiglia. Ci sono voluti molti anni per la conquista del voto femminile: basti pensare alla Francia (1944), all’Italia (1945) e alla Svizzera (1971). La presenza delle donne nel decile e nel centile più alti è ancora modesta, anche se cresce lentamente. Il regime della separazione dei beni è andato a svantaggio delle donne. Assistiamo anche a un impoverimento degli Stati poveri, sud-sahariani o sud-asiatici. Gli Stati hanno reagito alla crisi creando liquidità finanziaria: hanno iniziato gli USA nel 2008, seguiti con qualche ritardo dalla Banca Europea. Il rischio è pensare che questo risolva tutto, lasciando insoluti i problemi. La crescente finanziarizzazione fa sì che attualmente gli asset finanziari dell’Eurozona corrispondano al 1100% del PIL (erano il 300% negli anni 70/80). La BCE ha un bilancio che è il 40% del PIL europeo e il 4% degli asset. La Banca del Giappone e la Banca della Svizzera hanno un bilancio che supera il 100% del PIL. Germania e Francia hanno rendimenti nominali sul debito pubblico vicini allo zero e rendimenti reali negativi. Il bilancio UE ammonta all’1% del PIL, mentre quello degli Stati membri si situa tra il 30 e il 50%; negli USA il bilancio federale ammonta al 20% del PIL e quello dei singoli Stati attorno al 10%. Hayek in “Legge,legislazione e libertà” ha sostenuto una nuova concezione proprietarista; immagina assemblee governative locali (cui sono esclusi dal voto chiunque riceva denaro pubblico: dipendenti pubblici, pensionati e altri beneficiari) con l’esclusivo compito del funzionamento dei servizi pubblici; mentre la legislazione fondamentale sarebbe compito di una “assemblea legislativa” composta da un numero ristretto di professionisti che rimarrebbero in carica per 15 anni.

Di fronte all’ascesa delle classi inferiori, la borghesia ha reagito con l’ideologia meritocratica (ancora adesso la partecipazione all’istruzione universitaria di giovani provenienti dalle classi contadina o operaia è minima).

Parte quarta. Rivedere le dimensioni del conflitto politico. 

Cap.14. Confini e proprietà: la costruzione dell’uguaglianza. Nel trentennio 1950-1980 si è affermata la socialdemocrazia: gli anni 1990-2020 vedono il successo dell’iper-capitalismo e della globalizzazione post-coloniale: questo sviluppo deriva dal fallimento della sinistra socialdemocratica. Il conflitto politico è prevalentemente ideologico, non classista: si confrontano sistemi su come si possa realizzare una società più giusta. La struttura del conflitto politico negli anni 1950-1980 era classista: contrapponeva le classi basse alle classi alte. Le persone che occupavano le posizioni più modeste erano tali secondo i vari indici: redditi, patrimoni, istruzione. Il grande cambiamento intervenuto è che la sinistra da partito dei lavoratori è diventato partito dei laureati (e ciò vale sia per gli USA che per l’Europa). Gli studi attuali, per quanto convergenti, si basano su sondaggi post-voto che sono limitati nel numero e raccolti in tempi recenti. Nel caso francese la destra e la sinistra nelle elezioni politiche hanno variato tra il 40 e il 58%. La sinistra vedeva una volta una maggioranza del PCF, poi dei socialisti e ora vede queste due forze alla pari con il centro sinistra radicale (i confronti sono fatti accomunando forse omogenee). Per la destra il percorso è simile. Si sta ridefinendo l’asse principale del conflitto elettorale e in particolare sono sempre più rifiutati i termini di destra e sinistra. Forte è il calo della partecipazione alle elezioni politiche; una volta la partecipazione al voto era dell’80%, oggi si attesta attorno al 50%.(più alta quella delle presidenziali, 75%). Nel Regno Unito la percentuale è del 70%. I più ricchi partecipano di più. In pratica c’è una ritirata elettorale delle classi popolari (ad esempio, nel Regno Unito quando è stato eletto Tony Blair e in Francia col governo dei socialisti). Il conflitto classista aveva il merito di realizzare una forte mobilitazione di tutte le classi sociali. Il conflitto attuale (1990-2020) è tra due élite – i più istruiti e quelli coi maggiori redditi e patrimoni – ma le categorie popolari sono tagliate fuori. In Francia nel 1956: – elettori con titolo elementare 72%, voto a sinistra 57% - elettori con scuola secondaria 23% voto a sinistra 23% - elettori con titolo universitario 5% voto a sinistra 37% nel 2012: - elementari 18%, voto a sinistra 47% - secondaria 56%, voto a sinistra 50% - universitari 26%, voto a sinistra 58% I motivi dell’allontanarsi delle classi popolari dalla sinistra hanno due spiegazioni principali: una sociale e una nativista. La prima ritiene che le classi popolari siano state abbandonate dalla sinistra, la seconda ritiene che siano le classi popolari ad aver abbandonato la sinistra, a causa del 24 razzismo e dell’immigrazione. Ma sembra che il fenomeno del ribaltamento dovuto all’ istruzione sia piùimportante a causa del suo effetto di lungo periodo.

Si manifestano conflitti tra i ceti popolari e le nuove classi istruite della sinistra (su problemi politici come il fisco, sui servizi, ad esempio, la TAV che favorisce i ricchi rispetto ai pendolari).

Due aspetti spiegano il voto dei laureati e dei soggetti ad alto. Da un lato chi ha un titolo di studio e ha scelto le carriere più remunerative ha interessi comuni con la destra mercantile e tende a votare a destra; il possesso di un patrimonio è un fattore rilevante per votare a destra. I piccoli proprietari (contadini, commercianti, artigiani) tendenzialmente votano a destra, perché hanno sempre avuto paura delle collettivizzazioni comuniste e socialiste; inoltre la sinistra ha sempre sostenuto una politica fiscale a favore dei salariati. La sinistra intellettuale e la destra mercantile hanno diversi punti in comune, tanto da far pensare a possibili alleanze; però questo allontanerebbe ancora di più le classi popolari, la cui progressiva astensione delegittima il sistema. La sinistra è divisa tra chi è favorevole al mercato e chi vuole riforme più radicali; la destra fra chi è per il mercato e i nativisti/nazionalisti. Le divisioni religiose pesano ancora molto, non meno di quelle economiche. Nel 2017 i non credenti erano il 36%, i cattolici non praticanti il 46%, i praticanti il 6%, credenti di altre religioni il 9% (5% musulmani). I cattolici votano molto più a destra dei non credenti (anche perché ne fanno parte molti anziani con patrimonio); se si considerano le persone sotto i 50 anni i non credenti sono più dei cattolici e il divario elettorale decresce. I musulmani votano in grande maggioranza a sinistra, costituendo una minoranza discriminata (analogamente ai neri in USA che votano democratico). Le persone di origine straniera, se europee votano come gli europei, se extraeuropei votano in ampia maggioranza per la sinistra (sia perché la destra è sempre stata colonialista, sia per il nazionalismo attuale). Quindi ora l’elettorato è diviso in quattro blocchi: - centrosinistra favorevole al libero mercato (internazionalisti egualitari) - una sinistra più radicale favorevole alla redistribuzione (nativisti egualitari) - una destra pro- mercato (internazionalisti inegualitari) - una destra nativista/nazionalista (nativisti/inegualitari).

Delle semplici domande spaccano in due gli elettori. “Ci sono troppi immigrati in Francia?” ”Per ristabilire l’equità sociale bisogna prendere ai ricchi per dare ai poveri?” I quattro gruppi oggi si equivalgono. Così le ultime elezioni presidenziali (1^ turno): Melenchon 28%, Macron 24%, Fillon 22%, Le Pen 26%. C’è poi da considerare l’astensione, 22% al 1^ turno. A questo gruppo appartengono persone a basso titolo di studio, redditi esigui e patrimoni quasi inesistenti. Una possibile evoluzione potrebbe essere l’assorbimento dell’area Fillon, parte in Macron e parte in Le Pen; avremmo in questo caso i tre gruppi classici: liberismo, nazionalismo e socialismo. Macron tende a unire la sinistra intellettuale benestante e la destra mercantile in un blocco borghese che si considera “progressista”, in opposizione ai nazionalisti. Altrettanto fanno i nativisti che oppongono i “patrioti ai globalisti”. E’ una contrapposizione pericolosa perchè l’unica alternativa ai cosiddetti progressisti starebbe nel nazionalismo. 25 Un altro serio problema di divisione politica riguarda l’Europa che viene vista come una struttura a favore delle categorie alte; nei referendum effettuai sulle questioni europee le classi popolari hanno sempre votato in senso negativo. Un ulteriore problema è la mancata tassazione degli asset finanziari con la giustificazione che è difficoltosa. Ma si potrebbe realizzare la dichiarazione precompilata non solo per i redditi, ma anche per i patrimoni e stabilire la trasmissione automatica delle informazioni fiscali sulla circolazione dei capitali (ciò che gli Usa hanno fatto con la Svizzera). Cap.15. La sinistra intellettuale benestante: i nuovi divari euroamericani. I dati USA ci dicono che le persone con titolo di studio di scuola secondaria sono andate decrescendo nel voto ai democratici (è il gruppo di elettori più numeroso): i democratici sono invece cresciuti costantemente nei livelli superiori BA (51,5) e MA (70%) che però rappresentano rispettivamente il 19 e l’11% degli elettori. Sono poi il 75% dei PhD. Si registra un forte spostamento dalle categorie basse a quelle alte. Il titolo di studio ha poi un effetto sui redditi; così il Partito Democratico ha prevalso sul Partito Repubblicano nel 10% dei redditi più elevati (anche se prevale la differenza per titolo di studio). Naturalmente in USA la differenza razziale conta molto. Nel 2016 i democratici hanno ottenuto il 37% dei voti dei bianchi (70% degli elettori), l’89% del voto dei neri (11% dei votanti) e il 64% dei voti latino-americani (19% dei votanti). I bianchi dal 1968 hanno sempre votato repubblicano; le minoranze ora contano per il 30%, sono però destinate ad aumentare. In Francia la divisione è meno netta, perché le divisioni etnico-razziali sono più fluide. La politica repubblicana nel Sud si è basata sull’opposizione alle “welfare queens” (madri nubili nere) e sulle quote razziali. Fino agli anni ’60 in molti Stati del Sud erano proibite le unioni miste. In USA c’è l’obbligo di dichiarare la propria identità etnografica.Solo una battaglia sulla giustizia potrebbe eclissare un poco questa rigida divisione razziale.

Le classi popolari bianche hanno abbandonato il Partito Democratico, a causa della sua politica verso i neri e per lo scarso interesse che dimostra verso i gruppi sociali più svantaggiati. Negli anni ’80 con la paura di regredire rispetto a Germania e Giappone, viene eletto Reagan che porta l’aliquota massima delle imposte dall’81% al 28% (1986). I successivi presidenti democratici non hanno mutato questa politica, forse con l’idea di conquistare i nuovi ceti intellettuali benestanti. (Il referendum costituzionale in California – Proposition 13 - ha portato la property tax al livello massimo dell’1%). Ora tra i democratici appaiono proposte nuove sulle tasse progressive, sulla partecipazione nelle aziende e nell’istruzione. Nel Regno Unito i laburisti salgono al potere per la prima volta nel 1945 e introducono un sistema di welfare. Anche nel Regno Unito si verifica il passaggio dal patito dei lavoratori ai laureati; però, mentre avviene l’affermazione degli intellettuali, altrettanto non avviene per i redditi più elevati che rimangono a destra.Se guadiamo alle differenze identitarie in campo religioso si ha un forte aumento dei non credenti (3% nel 1964, 48% nel 2017). I musulmani sono in leggero aumento ma si attestano sul 5%, come in Francia. I cristiani votano in maggioranza a destra e i non credenti a sinistra; gli appartenenti ad altre religioni e più ancora i musulmani votano a sinistra (ma sono 26 pochi). I diversi gruppi etnici – non bianchi – votano in prevalenza per il laburismo. La questione razziale è anche qui strumentalizzata per fini politici. Però anche la sinistra (Blair) ha utilizzato le leggi antiterroristiche per arrestare ed espellere centinaia di migliaia di immigrati clandestini. Così per il referendum Brexit le classi meno abbienti hanno votato massicciamente per l’exit, mentre il gruppo più agiato era in maggioranza per rimanere. In sostanza si registra una netta rottura tra le classi popolari e l’Unione Europea.

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