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Il collasso dei Comuni prepara le privatizzazioni

14 Ottobre 2021
 

di Marco Bersani, Attac Italia 
 

Lo avevamo detto in tempi non sospetti (Città e Comuni: quando ce li riprendiamo?) ora è certificato: uno degli effetti della pandemia è il collasso dei Comuni, ovvero degli enti di prossimità degli abitanti di ogni territorio.

É in pieno svolgimento la 19esima edizione della “Settimana europea delle Regioni e delle città”, evento annuale organizzato dal Comitato delle Regioni Ue a Bruxelles.

All’interno dei lavori è stato presentato l’ultimo rapporto relativo all’impronta della pandemia sulle amministrazioni locali.

I risultati sono inequivocabili: stretti tra le maggiori spese da sostenere per far fronte all’emergenza e le mancate entrate dovute alla crisi, gli enti locali a livello europeo sono oggi di fronte a un buco di bilancio di 180 miliardi, pari alla somma delle maggiori spese dovute alla pandemia (125 miliardi) e delle mancate entrate (55 miliardi).

All’interno di questo infausto quadro, il nostro Paese figura al secondo posto, dietro la Germania, con un buco nelle casse degli enti locali di 22,8 miliardi di euro.

Dopo due decenni di trappola del debito e conseguenti politiche di austerità, nei quali i Comuni si sono visti ridurre drasticamente il personale, azzerare le possibilità di investimento e decuplicare il taglio di risorse (da 1,65 mld del 2009 ai 16,665 del 2015), il conto della pandemia sopracitato rischia di essere una sentenza definitiva per la funzione pubblica e sociale delle amministrazioni locali di prossimità.

La pandemia, spiega il rapporto, “avrà degli effetti a lungo termine sulle strutture socio-economiche delle regioni europee (..) e il fatto che le conseguenze possano farsi sentire ancora a lungo dipende dalle caratteristiche strutturali di un’area e dalla velocità della ripresa dei settori più colpiti”.

Se pensiamo al fatto di come, già all’inizio della pandemia, ben 1083 Comuni su un totale di 7904 si trovassero in condizione di dissesto o pre-dissesto finanziario, la drammaticità della situazione dovrebbe risultare più che evidente.

Il paradosso è che proprio la pandemia, avendo messo in crisi un sistema iperglobalizzato, obbliga a riscoprire la centralità dei territori, dei Comuni e delle città come fulcri di un nuovo modello sociale e ambientale.

Se questo è il quadro, sarebbe logico aspettarsi che, all’interno del PNRR e dei fondi del Next Generation Eu, città e Comuni assumano un ruolo centrale in termini di progettualità, investimenti a lungo termine, risorse a disposizione.

Niente di tutto questo. Il governo Draghi sta invece predisponendo -come da “condizionalità” imposte dalla Commissione Europea – il disegno di legge sulla concorrenza e il mercato, all’interno del quale viene prevista un’ulteriore spinta verso la privatizzazione dei servizi pubblici locali, stabilendo che esternalizzazione e/o affidamento ai privati siano l’ordinarietà, mentre la gestione diretta dei servizi da parte dei Comuni debba essere adeguatamente motivata.

Con le politiche di austerità si sono messi i Comuni con le spalle al muro. Ora arriva l’affondo per costringerli a mettere sul mercato tutti quei servizi che sinora erano riusciti a rimanerne fuori. Annunciando una ripresa che riguarderà solo gli utili degli azionisti finanziari e auspicando una resilienza – che vuol dire muta rassegnazione – delle comunità locali.

In questa situazione, tocca persino ascoltare il quotidiano chiacchiericcio su giornali e talk show, nei quali politici e opinionisti si arrovellano per capire le ragioni del massiccio astensionismo alle recenti elezioni amministrative.

Proponiamo loro di rispondere a due semplici domande: perché andare a votare sindaci e consiglieri comunali se le risorse a disposizione dei Comuni sono vicine allo zero? Quale utilità sociale hanno amministratori locali il cui unico compito è tagliare la spesa sociale e privatizzare beni comuni e servizi pubblici?

 

 

 

 

Draghi all’assalto dei servizi pubblici locali

5 Novembre 2021

​
 

di Marco Bersani, Attac Italia

Era atteso da tempo. Faceva parte delle stringenti “condizionalità” richieste dalla Commissione Europea per accedere ai fondi del Next Generation Eu. Era uno degli assi portanti per i quali Draghi è stato definito da Confindustria “l’uomo della necessità”. Era fortemente voluto dalle lobby finanziarie. Ed è arrivato. Il disegno di legge sulla concorrenza e il mercato. Un nuovo bastimento carico di privatizzazioni.

Mentre i media mainstream ancora una volta dirottano l’attenzione (colpiti i tassisti, risparmiati i concessionari degli stabilimenti balneari etc.) nessuno mette l’accento sulla sostanza del provvedimento, concentrata nell’art. 6: la privatizzazione dei servizi pubblici locali e la definitiva mutazione del ruolo dei Comuni.

Un provvedimento vergognoso che, sin nelle finalità espresse all’art. 1, sembra aver completamente accantonato quanto la pandemia ha evidenziato oltre ogni ragionevole dubbio: il mercato non funziona, non protegge, separa persone e comunità.

Senza alcun senso del ridicolo si dice che il provvedimento ha lo scopo di “promuovere lo sviluppo della concorrenza e di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati (…) per rafforzare la giustizia sociale, la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini”.

Se dalle finalità generali passiamo allo specifico articolo sui servizi pubblici locali, va subito notato il salto di qualità messo in campo dal governo Draghi: per la prima volta si parla di tutti i servizi pubblici locali senza alcuna esclusione. Come si evince dall’unico passaggio – paragrafo d – in cui sono menzionati i servizi pubblici locali a rilevanza economica in merito alla necessità di una loro ottimale organizzazione territoriale, il resto del provvedimento supera i precedenti tentativi di privatizzazione per la globalità dei servizi coinvolti. Ad ulteriore conferma di questa estensione, valga il richiamo (par. o) alla normativa relativa al Terzo Settore.

Ribaltando a 360 gradi la funzione dei Comuni e il ruolo di garanzia dei diritti svolto storicamente dai servizi pubblici locali, il ddl Concorrenza (par. a) pone la gestione dei servizi pubblici locali come competenza esclusiva dello Stato da esercitare nel rispetto della tutela della concorrenza. E ne separa (par. b) le funzioni di gestione da quelle di controllo.

I paragrafi successivi sono un vero capolavoro di ribaltamento della realtà.

Mentre all’affidatario privato viene richiesta (bontà sua) una relazione annuale sui dati di qualità del servizio e sugli investimenti effettuati, ecco il tour de force che deve affrontare il Comune che, malauguratamente, scelga di gestire in proprio un servizio pubblico locale: dovrà produrre “una motivazione anticipata e qualificata che dia conto delle ragioni che giustificano il mancato ricorso al mercato” (par. f); dovrà tempestivamente trasmetterla all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (par.g); dovrà prevedere sistemi di monitoraggio dei costi (par. i); dovrà procedere alla revisione periodica delle ragioni per le quali ha scelto l’autoproduzione.

Per quanto riguarda i servizi pubblici a rilevanza economica (par. d), ovvero acqua, rifiuti, energia, e trasporto pubblico, si prevedono inoltre incentivi e premialità che favoriscano l’aggregazione (leggi multiutility).

Non contento di puntare alla privatizzazione delle gestioni, il Governo prevede anche (par. q) una revisione della disciplina dei regimi di proprietà e di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, anche al fine di assicurare un’adeguata valorizzazione della proprietà pubblica, nonché un’adeguata tutela del gestore uscente.

In questo contesto, il richiamo (par. t) alla partecipazione degli utenti nella definizione della qualità, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale suona come la presa per i fondelli finale.

Un attacco feroce e determinato ai diritti delle persone, ai beni comuni e alle comunità locali. Di questo si tratta. Portato avanti da un governo che non ha mai fatto mistero di essere al servizio dei grandi interessi finanziari e che ha preteso un Parlamento embedded per poter avere mano libera su tutte le scelte fondamentali di ridisegno della società.

La zavorra dei vincoli e del debito ci impedisce qualunque movimento. Non avere alcuna agibilità sul bilancio significa impattare enormemente sulla qualità di vita dei cittadini. E’ impossibile governare la città se non possiamo mettere risorse”. Così ha tuonato pochi giorni fa Gaetano Manfredi, nuovo sindaco di Napoli.

La risposta del governo Draghi è che non vi è alcun bisogno di governare i Comuni e le città: basta mettere tutto sul mercato.

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