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LA LEGGE QUADRO SULLE AREE NATURALI PROTETTE COMPIE 30 ANNI

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AGGIORNARE LA LEGGE PER RAFFORZARE

LA TUTELA DELLA BIODIVERSITA’ CONTRO LA CRISI CLIMATICA

 

 

RAGGIUNGERE L’OBIETTIVO DEL 30% DI AREE PROTETTE ENTRO IL 2030

 

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6 dicembre 2021

 

 

  1. LA LEGGE QUADRO SULLE AREE NATURALI PROTETTE COMPIE 30 ANNI

 

  1. UNA LEGGE CHE RISOLVE I PROBLEMI DEI PARCHI? MEGLIO LA PROSSIMA VOLTA

 

  1. IL 30% DI AREE PROTETTE ENTRO IL 2030: GLI OBIETTIVI EUROPEI E NAZIONALI: Ø i Parchi nazionale e le Aree marine protette in fase istitutiva,

 

Ø le Aree marine protette prevista dalla legge e non ancora istituite, Ø le nuove aree naturali protette da istituire proposte da Legambiente

  1. LE BUONE PRATICHE CHE HANNO COSTRUTITO IL SUCCESSO DELLA LEGGE 394

 

 

APPROFONDIMENTI

  1. I PARCHI PER LA BIOECONOMIA CIRCOLARE

  2. I PARCHI CONTRO IL DECLINO DELLA BIODIVERSITA’

  3. I PARCHI E LE COMUNITA’ LOCALI CONTRO LA CRISI CLIMATICA

 

ALLEGATI

  1. AREE PROTETTE PREVISTE CHE DEVONO ESSERE ANCORA ISTITUITE

  2. AREE PROTETTE PROPOSTE DA LEGAMBIENTE

 

a cura dell’Osservatorio per il Capitale Naturale di Legambiente- Ufficio nazionale aree protette e biodiversità

 

 

1.  LA LEGGE QUADRO SULLE AREE NATURALI PROTETTE COMPIE 30 ANNI

 

La legge quadro sulle aree protette n. 394 del 6 dicembre 1991 ha permesso al nostro Paese di realizzare un sistema diffuso di protezione della natura che ha saputo “regolare” le esigenze di conservazione della natura con quelle di crescita sostenibile di un complesso sistema di ambiti territoriali protetti. Si deve a questa legge, tra le migliori in campo ambientale, se oggi l’Italia è leader in Europa nell’impegno per la tutela della biodiversità, la presenza e diffusione di specie e habitat di interesse comunitario e per la qualità dei territori e dei paesaggi protetti.

 

La legge 394/91 ha posto al centro della sua strategia la realizzazione di un sistema nazionale di aree protette che oggi conta: 871 tra parchi e riserve (nazionali, regionali e locali) con oltre 5milioni di ettari di territorio protetto a terra e a mare, e copre una percentuale dell’11% del territorio nazionali, coinvolge tutte le regioni e 2.500 comuni (la gran parte piccoli o piccolissimi) con una popolazione complessiva di 10 milioni di cittadini residenti. La superficie protetta in Italia è il doppio della media europea e conserviamo la gran parte del patrimonio di biodiversità (1/3 della fauna e il 50% delle specie floristiche del continente europeo, in territori che non sono wilderness ma contengono oltre 300 mila imprese che operano nei settori dell’agricoltura, pesca, zootecnia, foreste e turismo (bioeconomia).

 

La realtà che grazie alla L.394/91 si è affermata negli ultimi 30 anni, oltre alla crescita percentuale dei territori protetti (dal 3 all’11%), ha permesso la nascita dell’Ente parco inteso come un nuovo soggetto istituzionale autonomo (oggi sono quasi 200) in cui sono rappresentati interessi locali, nazionali e della società civile (negli Enti parco nazionali oltre ai sindaci sono presenti rappresentanti dei ministeri, esperti e rappresentanti delle associazioni ambientaliste); sono stati riscoperti territori di pregio fino ad allora marginali che hanno ritrovato interesse e ricevuto risorse pubbliche per invertire le dinamiche di sviluppo, e sono state realizzate azioni di conservazione della natura che hanno salvato specie dalla estinzione e tutelato habitat a rischio.

 

L’istituzione dei Parchi ha fatto emergere nuove geografie territoriali che erano sconosciute (es. il Cilento o i Monti Sibillini), dato risalto a realtà che prima della nascita del parco erano conosciute solo per fatti negativi (es. Aspromonte per i sequestri, l’Asinara per il carcere), invertito la tendenza al degrado e abbandono del territorio (es. Cinque Terre, Vesuvio). In generale la legge quadro con la nascita dei nuovi Parchi nazionali, in particolare, ha dato una spinta significativa all’economia del benessere, creato nuova occupazione soprattutto nel settore turistico e reso il nostro Paese migliore più bello e ricco di paesaggi e specie faunistiche che avrebbero rischiato di scomparire.

 

Oggi si può dire che 30 anni fa noi di Legambiente abbiamo fatto bene a chiedere con forza la creazione di un sistema di aree protette nel Paese, e avevamo ragione a scommettere sulla autonomia dei parchi per tutelare e creare sviluppo, per alimentare quella rete di piccola imprenditoria fatta di produttori agricoli e artigianali di qualità, guide ed educatori ambientali, operatori del turismo slow e quanti altri hanno presidiato, anche in questi anni complicati, territori tanto straordinari quanto difficili e marginali. Legambiente rivendica con orgoglio di essere stata protagonista, fin da subito, nella crescita di un sistema di tutela che non fosse elitario e riservato a pochi ma diffuso e partecipato dalle comunità e dalle diverse istituzioni a partire dai sindaci e gli amministratori locali.

 

La rete dei parchi e delle riserve ha garantito la tenuta fisica di tanta parte del nostro territorio, ha contrastato il dissesto idrogeologico ma anche lo spopolamento dei territori garantendo la tenuta sociale dei territori protetti. Le aree protette sono state portavoce e interpreti della necessità di mantenere il livello di coesione territoriale garantito dalle piccole comunità coinvolte nella gestione della natura e che continuano ad abitare e a rendere produttivi i luoghi più belli del nostro Paese.

 

Il terremoto che ha interessato l’Appennino centrale nel 2009 e 2016, ad esempio, ha evidenziato quanta ricca sia la rete di piccole aziende legate al turismo ambientale e all’enogastronomia di qualità in quelle zone che, vale la pena ricordarlo, sono i luoghi di due parchi nazionali, quello dei Monti Sibillini e quello del Gran Sasso e Monti della Laga. Per questo motivo la nostra raccolta di fondi per i danni dal terremoto (Alleva la speranza) si è indirizzata a sostenere quelle piccole realtà produttive sopravvissute in questi anni grazie proprio alla bellezza di quei luoghi. D’altro canto la loro sopravvivenza ha garantito buona cura e manutenzione di quei luoghi che hanno potuto così continuare ad esercitare il loro fascino. In questo delicato equilibrio e gioco di rimandi che si esercita al meglio il ruolo del parco: tutelare la bellezza e la natura per consentirne una buona fruizione che garantisca a sua volta presidio e manutenzione. Un ruolo di circolarità oggi più che mai necessario per contrastare efficacemente la crisi climatica che impatta sulla biodiversità ed i territori.

 

 

2.  UNA LEGGE CHE RISOLVE I PROBLEMI DEI PARCHI? MEGLIO LA PROSSIMA VOLTA

 

La modifica e l’aggiornamento della Legge 394/91 è una necessità evidenziata da più parti dalla fine degli anni ’90. Un obiettivo che negli anni si è provato a raggiungere ma senza risultati positivi: la discussione sulla riforma organica della legge è iniziata nel 2009 ma è fallita miseramente nel 2018, nel mentre ci sono stati parziali aggiustamenti, fatti dal Governo e dal Parlamento senza nessuna partecipazione dei portatori di interessi e dalle comunità interessate, che hanno snaturato completamente i principi della legge, in particolare la governance, senza toccare i nodi veri.

 

  • un fatto arcinoto che, fosse dipeso da Legambiente, la modifica della legge 394 sulle aree naturali protette avrebbe avuto tutt'altro percorso e forse un esito meno conflittuale. Abbiamo già detto, e lo ribadiamo, che la discussione sulla legge 394 non avrebbe certamente esaurito tutti i bisogni e le esigenze delle aree protette, ma dobbiamo constatare che la discussione che c’è stata non è servita a mescolare opinioni e giungere ad una sintesi la più condivisa possibile.

 

Certo la classe politica ha molte responsabilità, ma non è la sola a dover cospargersi il capo di cenere se dopo una discussione lunga quasi un decennio, di cui la gran parte passati nelle aule delle commissioni parlamentari, le posizioni dei diversi interlocutori sono rimaste inalterate.

 

Anche se per un attimo, solo un attimo, abbiamo sperato che per la riforma dei parchi si potesse creare un clima favorevole alla sua modifica, e sebbene ci abbiamo sperato, il clima positivo non si

 

  • realizzato perché la legge sui parchi ha un suo vissuto di 30 anni in cui ci si è divisi su temi importanti ma anche sul nulla. E perché nel mondo dei parchi persistono ancora tanti personaggi che, non riuscendo a dare il cattivo esempio nella gestione delle aree protette, sono stati incapaci a dare qualche buon consiglio per evitare che chi sarà chiamato a gestire le aree protette fosse meno impreparato. Troppi rancori, e troppi sepolcri imbiancati, hanno impedito a tutti di essere lucidi e sinceri nei giudizi.

 

Per quello che ci riguarda continueremo a praticare il confronto con tutti, e in ogni lungo, e rivendichiamo che avevamo ragione a sostenere, allora come oggi, la necessità di aggiornare la legge. Dopo trent’anni dalla sua nascita della 394, gli opposti che si sono scontrati in questi anni, continuano a concordare sul solo punto: la necessità di modifica della governance (che si può tradurre in manipolare o condizionare a secondo del fronte che si presidia), per Legambiente questo della riforma della governance è un obiettivo che viene a valle di una discussione pubblica (terza Conferenza nazionale delle aree protette) che analizzi il come e il perché di una riforma complessiva necessaria ed urgente per raggiungere gli obiettivi del decennio 2020/2030.

 

La partecipazione al processo riformatore è una sfida che Legambiente vuole continuare ad affrontare, prendendosi la responsabilità di proporre una “visione” per le aree protette (ma anche

 

delle modifiche mirate) che possa in parte colmare il vuoto di confronto e di dibattito pubblico che

 

  • mancato. Ribadiamo pertanto la richiesta: a quando la celebrazione della Terza Conferenza delle aree protette che affronti l’obiettivo di proteggere la ricca biodiversità presente nel nostro Paese e fornisca agli enti gestori e alle comunità gli strumenti per affrontare da protagonisti la transizione ecologica e climatica?

 

Abbiamo sempre pensato, e lo confermiamo, che non si ridà slancio ai parchi e alle aree protette del nostro Paese solo attraverso la modifica della legge, o peggio partendo dalla governance. Serve altro per rilanciare un sistema che rappresenta un pezzo fondamentale del nostro made in Italy in termini economici, di benessere e di crescita sociale e culturale.

 

Ma la modifica della legge ha una sua ragion d’essere per aggiornare una legislazione che risente del tempo e delle nuove competenze che si vogliono affidare ai parchi (le funzioni che avevano le province, la gestione dei siti natura 2000, la sorveglianza dopo il passaggio del CFS ai Carabinieri ad esempio), per poter gestire al meglio i successi nel campo della conservazione della biodiversità (si salvano dall'estinzione i camosci ma cresce anche la presenza di cinghiali e di altre specie invasive), per promuovere l'agricoltura biologica e frenare il consumo di suolo e produrre beni e prodotti agricoli riducendo le emissioni in atmosfera e il consumo di risorse naturali.

 

Un capitolo particolare dovrà essere dedicato alle aree marine protette, colmando un gap d’attenzione già presente nella formulazione originaria della legge quadro.

 

L’Italia oggi dispone della più importante ed estesa rete di aree marine protette del Mediterraneo, con una varietà di ambienti e di eccellenze che spazia dal parco archeologico sommerso di Baia e Gaiola alle ultime dune dell’Adriatico, dai graniti paleozoici e le praterie di Posidonia di Tavolara al coralligeno di Porto Cesareo. Si tratta di trenta realtà che tutelano buona parte delle isole minori del nostro Paese, che hanno realizzato le migliori pratiche in materia di gestione della nautica, della subacquea, della piccola pesca artigianale.

 

Oggi nelle aree marine protette si possono fare più cose e meglio di quante se ne possano fare dove il mare non è tutelato: è più facile immergersi (Portofino detiene il record di immersioni nel nostro Paese), è più facile ormeggiare la propria barca (alle Egadi l’area marina protetta allestisce campi boe nelle baie più belle per circa duecento imbarcazioni), è più redditizio pescare (a Torre Guaceto i pescatori hanno ridotto le uscite ad aumentato le loro catture). Per tutte queste straordinarie eccellenze di gestione il nostro Paese destina complessivamente appena 4,5 milioni di euro, meno di quanto i nostri cugini d’Oltralpe destinano a un unico parco regionale, sebbene importante, come quello della Corsica che ogni anno riceve da Parigi oltre 5 milioni di euro.

 

In questo caso la prima modifica da fare sarà quindi di natura contabile, perciò abbiamo chiesto di triplicare la dotazione finanziaria del capitolo di bilancio dedicato alle aree marine protette. In secondo luogo occorrerà emancipare gli organismi di gestione dalle vicende amministrative locali:

 

  • impensabile che la gestione di aree così importanti possa dipendere dallo …stormir di fronde che si registra in comuni di poche migliaia di anime.

 

Ben vengano allora gli enti di gestione autonomi per le aree marine protette (perché non i Parchi marini?) i Consorzi di gestione fra enti locali e altri soggetti (Università, associazioni ambientaliste, Regioni) già sperimentati con successo in più di una circostanza che restituiscono autonomia al soggetto gestore e lo tutelano da un eccesso di dipendenza dalla politica locale.

 

La modifica della legge deve servire anche a sburocratizzare gli enti che gestiscono le aree protette, per garantire meglio la tutela della biodiversità con procedure autorizzatorie certe e trasparenti (es. sportelli unici), l’applicazione di sistemi di certificazione e innovazione delle procedure (es. GPP), in sostanza semplificare la vita dei cittadini che vivono nelle aree protette e l’acceso ai servizi da parte

 

degli operatori economici che vi lavorano. Per questo abbiamo bisogno di una classe dirigente nei parchi preparata e capace di cogliere le nuove sfide. Una classe dirigente rinnovata e competente slegata da logiche politicistiche.

 

Si proponga un modello di governance nuovo e aperto ai giovani e alle donne (la composizione di genere e generazionale dell'attuale gruppo dirigente è davvero significativa di quanto i parchi siano sistemi chiusi). Si intervenga sulla deriva localistica che rischia di soffocare la vita dei parchi frutto della cattiva politica. Si rilanci uno strumento di programmazione e di finanziamento del sistema nazionale delle aree naturali protette (comprese le AMP e le aree regionali) ricostituendo un luogo di discussione comune tra il Ministero e le Regioni che affronti la programmazione, il finanziamento e la gestione condivisa delle aree protette e di come tutelano la biodiversità e affrontano la crisi climatica. Si renda effettiva la valorizzazione dei servizi ecosistemici e l’autofinanziamento per garantire entrate autonome per i parchi. Si ponga un freno sulle nomine di pseudo esperti troppe volte scelti tra le seconde file delle amministrazioni locali. Si fermi l'assalto di bracconieri e incendiari, sull'intollerabile ritardo nell'approvazione di piani e dei regolamenti dei parchi, sullo scarso ruolo che hanno le Comunità del parco e sulla mancanza di istituti di partecipazione dei cittadini. La riforma della legge deve ripartire da qui: riconnettere le comunità locali con l'ambiente, la bellezza e la biodiversità, sentendosi allo stesso tempo protagoniste dell'enorme sforzo nazionale e globale che l'Italia e l'intera umanità devono compiere per impedire l'estinzione di massa della biodiversità e il riscaldamento del pianeta, per salvare la casa comune della quale le aree protette sono le fondamenta sempre più indispensabili.

 

Cosa si deve, in sintesi, riformare della 394/91?

 

  1. aggiornare la normativa sul mare ancorato a norme risalenti al 1982 e finanziare adeguatamente le aree marine protette;

  2. rivedere la natura giuridica dell’Ente parco e si applichino norme della PA più aggiornate;

 

  1. superare la separatezza tra i diversi regimi di tutela (statale, regionale) e si ripristini un luogo di dialogo e leale collaborazione tra Stato e Regioni (es. Piano triennale di programmazione, Coordinamento nella Conferenza Stato-Regioni);

 

  1. integrare la tutela della biodiversità introdotta dalle direttive comunitarie con le norme sulle aree naturali protette;

 

  1. rafforzare il ruolo dell’Ente parco nelle strategie di tutela di area vasta, nelle politiche di sistema e nella programmazione territoriale (es. i parchi soggetti intermedi della programmazione);

 

  1. rafforzare gli strumenti di programmazione e pianificazione dei parchi (es. piani locali di tutela della biodiversità, piani di adattamento al clima, mitigazione e prevenzione dei rischi);

 

  1. dotare gli enti parco di comitati scientifici e comitati consultivi e di partecipazione dei cittadini e dei portatori di interesse;

 

  1. rivedere il ruolo e le funzioni della comunità del parco;

 

  1. snellire la burocrazia nelle procedure di autorizzazione, di gestione amministrativa e sorveglianza del territorio;

 

  1. migliorare la qualità degli amministratori dei parchi con nomine basate sulla competenza e governance aperte ai giovani e alle donne (parità di genere e seguire anche un criterio generazionale);

 

 

 

 

3.  IL 30% DI AREE PROTETTE ENTRO IL 2030: GLI OBIETTIVI EUROPEI E NAZIONALI

 

Per frenare gli effetti negativi del cambiamento climatico, oltre alle dichiarazioni di principio sempre abbondanti ma con poche ricadute effettive, serve un poderoso cambio di passo attivando politiche territoriali efficaci e coerenti con gli obiettivi globali che la scienza e le agenzie internazionali (ONU, FAO, CBD, IUCN…) chiedono agli Stati di rispettare nel prossimo decennio. L’Unione Europea ha proposto agli Stati membri obiettivi ambiziosi e concreti per frenare il climate change attraverso il Next Generation EU, che assegna ad ogni Paese le risorse per attuare un Piano nazionale di ripresa e resilienza, e il rispetto della Strategie per la Biodiversità e le Foreste con gli obiettivi europei di conservazione da attuare entro il 2030.

 

La Strategia dell'UE per la biodiversità per il 2030 (SEB) mira a mettere la biodiversità dell'Europa sulla via della ripresa entro il 2030 a beneficio delle persone, del pianeta e del clima e di incoraggiare l'azione globale in modo che entro il 2050 tutti gli ecosistemi del mondo siano ripristinati, resilienti e adeguatamente protetto. L’UE sostiene, in coerenza con il mondo scientifico e culturale, che la perdita di biodiversità e la crisi climatica sono interdipendenti e se una si aggrava anche l'altra segue la stessa tendenza, e che per raggiungere i livelli di mitigazione necessari entro il 2030 è essenziale ripristinare le foreste, i suoli e le zone umide e creare spazi verdi principalmente nelle città.

 

Per questa ragione l’Europa fornisce orientamenti politici precisi per l’attuazione della SEB nel decennio 2020/2030, in particolare, gli Stati membri devono raggiungere gli obiettivi di:

 

  • creare nuove zone protette in Europa e tutelare con strumenti giuridicamente vincolanti il 30% della superficie terrestre e marina;

 

  • prevedere una protezione più rigorosa degli ecosistemi garantendo il 10% del territorio a protezione integrale;

 

  • ripristinare gli ecosistemi degradati e aumentare i terreni agricoli utilizzati a biologico per migliorare la loro biodiversità;

 

  • ridurre del 50% l’uso e la nocività dei pesticidi e ripristinare almeno 25.000 Km di fiumi a scorrimento libero;

 

  • arrestare e invertire il declino degli impollinatori e piantare 3 miliardi di alberi entro il 2030.

 

Il declino della biodiversità è uno dei maggiori problemi ambientali che l’umanità si trova ad affrontare. L’impatto antropico ha trasformato il 75% degli ambienti naturali delle terre emerse e il 66% degli ecosistemi marini, messo a rischio almeno un milione di specie animali e vegetali dopo averne cancellato per sempre un numero imprecisato. Appare oramai evidente che la salute e il benessere umano sono strettamente legati alla vitalità e alla resilienza dei sistemi naturali, per questo è importante considerare la salute come un unicum che riguarda la connessione tra la dimensione umana e quella planetaria (One World-One Health). Per mantenere il Pianeta in equilibrio e proteggere la biodiversità occorre essere più responsabili nell’utilizzo delle risorse naturali, fondamentali per produrre cibo, energia e altri servizi ecosistemici, e poterne fruire per migliorare il nostro benessere.

 

Una responsabilità che chiama direttamente in causa il ruolo delle aree protette che hanno come missione principale la protezione della biodiversità e la tutela del nostro benessere economico e sociale. Persone sane vivono in ecosistemi sani. E le aree protette sono, a livello globale, lo strumento più adeguato per tutelare la biodiversità, prevenire problemi di salute pubblica e promuovere stili di vita sostenibili. Per frenare il declino della biodiversità L’Europa, con la Strategia dell’UE per la biodiversità per il 2030, propone agli stati membri di istituire altre aree protette in tutto il continente, ma abbiamo poco tempo, meno di un decennio, per raggiungere questo obiettivo che per il nostro Paese significa triplicare la percentuale di aree terrestri protette

 

 (attualmente siamo all’11%) e sestuplicare gli ambienti marino-costieri attualmente protetti (appena il 5% di mare e coste tutelate). Il Bel Paese ha una lunga lista di aree protette in attesa di essere istituite e previste da leggi dello Stato che, per diversi motivi, tardano a nascere ma sono fondamentali per garantire la tutela di specie e habitat a rischio. Ci sono Parchi nazionali ma anche Aree marine protette in attesa di essere istituite con studi scientifici in corso per valutarne la fattibilità, ma anche un elenco di territori che si propongono per diventare parte del sistema delle aree protette. Nei prossimi anni saremo impegnati per raggiungere l’obiettivo di tutelare il 30% del territorio e del mare entro il 2030. Più biodiversità contro la crisi climatica è un obiettivo raggiungibile e alla portata del nostro Paese, a condizione che si vada oltre le enunciazioni di principio e si proceda in maniera concreta e con la convinzione necessaria. Adesso è il momento di agire e mobilitarsi per costruire il percorso, le alleanze e le strategie per centrare l’obiettivo di proteggere il 30% di territorio marino e terrestre entro il 2030.

 

I Parchi nazionali e le Aree marine protette in fase istituiva

 

  1. Parco nazionale del Gennargentu e Golfo di Orosei, in Sardegna (previsto dalla legge 394/91)

  2. Parco nazionale del Delta Po, tra Veneto ed Emilia Romagna (previsto dalla legge 394/91)

  3. Parco nazionale dello Stelvio, Tra Lombardia e Trentino Alto Adige (soppresso nel 2013)

  4. Parco nazionale della Costa Teatina, in Abruzzo, (previsto dalla Legge n.93/2001)

 

  1. Parco nazionale delle Egadi e del Litorale Trapanese, in Sicilia (previsto dalla legge 227/2007)

  1. Parco nazionale degli Iblei, in Sicilia (previsto dalla legge 227/2007)

  2. Parco nazionale delle Eolie, in Sicilia (previsto dalla legge 227/2007)

  3. Parco nazionale del Matese, tra Campania e Molise (previsto dalla legge 205 del 2017)

 

  1. Parco nazionale di Portofino, in Liguria (previsto dalla legge 205 del 2017)

 

  1. Area marina protetta della Costa del Conero, nelle Marche (prevista dal 2014 e non istituita)

  2. Area marina protetta della Costa del Piceno, nelle Marche (procedimento fermo dal 2008)

  3. Area marina protetta Grotte di Ripalta – Torre Calderina, in Puglia (prevista dal 2013)

 

  1. Area marina protetta Golfo di Orosei - Capo Monte Santu, in Sardegna (studi iniziati nel 2018)

 

  1. Area Marina protetta di Capo d’Otranto - Grotte Zinzulusa e Romanelli – Capo di Leuca, in Puglia (studi iniziati nel 2018)

  2. Area marina protetta Isola di Capri, in Campania, (studi iniziati nel 2020)

  3. Area marina protetta Isola di San Pietro, in Sardegna (studi iniziati nel 2020)

  4. Area marina protetta Costa di Maratea, in Basilicata (studi iniziati nel 2020)

 

Le Aree marine protette previste dalla legge e non ancora istituite

  1. Area marina protetta Monte di Scauri

 

  1. Area marina protetta Monti dell’Uccellina - Formiche di Grosseto - Foce dell'Ombrone Talamone, in Toscana

 

  1. Area marina protetta dell’Arcipelago Toscano, in Toscana

  2. Area marina protetta de La Maddalena, in Sardegna

  3. Area marina protetta delle Isole Ponziane - Circeo, nel Lazio

  4. Area marina protetta Isola di Pantelleria, in Sicilia

  5. Area marina protetta delle Isole Eolie, in Sicilia

 

  1. Area marina protetta Banchi di Graham, Terribile, Pantelleria e Avventura nel Canale di Sicilia, in Sicilia

  2. Area marina protetta Isole Cheradi e Mar Piccolo, in Puglia

 

AREE PROTETTE DA ISTITUIRE CHE PROPONE LEGAMBIENTE

  1. Parco nazionale del Fiume Magra, tra Liguria e Toscana

  2. Parco nazionale del Monte Catria, Nerone e Alpe della Luna, tra Marche e Umbria

  3. Parco nazionale del Sirente Velino, in Abruzzo

  4. Parco nazionale della Penisola Sorrentina, in Campania

  5. Area marina protetta Torre la Punta, nel comune di Pollica in Campania

  6. Parco regionale del Tarvisiano, in Friuli Venezia Giulia

  7. Parco regionale del Carso, in Friuli Venezia Giulia

  8. Parco regionale della Carnia, in Friuli Venezia Giulia

  9. Parco regionale della Laguna di grado e Marano

 

  1. Parco nazionale del Fiume Ofanto, tra Campania e Puglia

  2. Parco regionali delle Alpi Retiche, in Lombardia

  3. Parco regionale dello Staffora Oltrepò, in Lombardia

  4. Parco regionale dell’Olona, in Lombardia

  5. Parco regionale del Seveso, in Lombardia

  6. Parco regionale del Lambro meridionale, in Lombardia

  7. Parco metropolitano e agricolo milanese, in Lombardia

  8. Parco regionale delle Colline dell’agro-fluviale di Brescia, in Lombardia

  9. Parco regionale del Crinale Piacentino, in Emilia Romagna

  10. Parco interregionale del Po Grande, tra Lombardia ed Emilia Romagna

  11. Parco regionale del Terminillo e dei Monti Reatini, nel Lazio

  12. Parco interregionale del Fiume Tevere, tra Umbria e Lazio

  13. Parco regionale dei Monti Volsci, nel Lazio

  14. Parco interregionale degli Ernici, tra Lazio e Abruzzo

 

  1. Parco regionale dell’Alto Molise, in Molise

  2. Parco regionale del Fiume Neto, in Calabria

  3. Parco regionale dei Monti Sicani, in Sicilia

 

 

 

 

4.  ALCUNE BUONE PRATICHE DELLA LEGGE 394

 

1.  Il castello della legalità.

 

Palazzo Mediceo di Ottaviano, da simbolo di illegalità degli anni 80, a sede del Parco Nazionale del Vesuvio, per la cultura, la protezione e la valorizzazione del territorio. E’ questa in estrema sintesi la storia della sede del Parco nazionale del Vesuvio, collocata nell'antica residenza della famiglia dei Medici, che dall'1567 scelse questa dimora di Ottaviano per il suo soggiorno alle falde del Vesuvio. Il Palazzo del Principe, risale al medioevo ed ha ospitato illustri personaggi tra cui un papa, nel 1980 venne acquistato da una società immobiliare della camorra e nel 1991 il castello venne confiscato dallo Stato e assegnato al comune di Ottaviano. Il bene ristrutturato in parte, è diventata la sede dell’Ente Parco nazionale del Vesuvio a testimonianza del ruolo di protezione e tutela del vulcano più famoso al mondo e della sua storia millenaria, ma anche simbolo di legalità e di presidio di un territorio per troppi anni violato dall’abusivismo edilizio e dalla criminalità organizzata che non ha esitato a condannare a morte chi come Mimmo Beneventano, giovane medico e consigliere comunale del PCI, si battevano contro la speculazione e la nascita del Parco

 

  1. Il Camoscio appennino che ha rischiato l’estinzione ora sfida i cambiamenti climatici.

 

Si tratta di una specie endemica, si trova cioè esclusivamente nel nostro Appennino e in nessun'altra parte del mondo e può essere considerato a pieno titolo un ambasciatore dei Parchi Italiani. Per anni il camoscio appenninico è stato a rischio estinzione: agli inizi del ‘900 se ne contavano appena 40 esemplari. Ma poi grazie alla sinergia tra aree protette, istituzioni, mondo scientifico e associazioni (tra cui Legambiente), è stato possibile, con il contributo di due progetti Life, il primo nel 2002 (Life Conservazione di Rupicapra pyrenaica ornata) e l’altro nel 2010 (progetto Life Cornata) far arrivare a circa 3.000 il numero degli esemplari di camoscio appenninico. Il progetto Life Cornata

 

  • stato uno dei Best Life 2015 dell’UE. Avviato nel 2010, il progetto europeo Life Coornata è stato portato avanti dai parchi nazionali della Maiella, di Abruzzo Lazio e Molise, del Gran Sasso Monti della Laga, dei Monti Sibillini, dal parco regionale del Sirente Velino e da Legambiente. Ha rappresentato un caso esemplare di successo della ricerca all’interno dei Parchi, anche perché sono state sperimentate alcune tecniche di cattura e rilascio totalmente innovative e mai usate prima in Appennino su questa specie: le box trap e le up-net.

 

3.  La fioritura di Castelluccio di Norcia è garantita dal Parco nazionale dei Monti Sibillini

 

Nel mese di luglio la Fioritura di Castelluccio di Norcia raggiunge il suo apice, ed i Piani di Castelluccio, ai piedi del Monte Vettore, nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, si trasformano in tavolozze floreali con colori spettacolari che negli anni passati ha portato a un flusso di persone (e auto) decisamente sovradimensionato rispetto alle vie di accesso: le stime parlano di oltre 40.000 presenze annue. Per contrastare il sovraffollamento, in particolare lungo il Pian Grande, quest’anno per la prima volta grazie all’insistenza del Parco nazionale si è sperimentato con successo un sistema di prenotazione gratuita dei parcheggi, mediante una apposita piattaforma e un servizio navetta per gli spostamenti dai parcheggi definiti al centro abitato di Castelluccio e lungo la Piana. Per la fioritura del 2021 il Parco è riuscito a prevenire e regolamentando i flussi turistici che, se non adeguatamente gestiti, possono creare danni alla biodiversità e alterare questi luoghi estremamente sensibili alla fruizione, mettendo in campo un sistema di coordinamento degli enti locali e la realizzazione di un modello complessivo di mobilità sostenibile utile all’intero territorio del Parco.

 

4.  Le faggete vetuste dei Parchi nazionali patrimonio dell’Unesco

 

Sono oltre 8 mila ettari di foreste italiane vetuste inserite nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO riconoscendo 13 siti italiani tra i beni seriali transazionali non solo l’eccezionale valore

 

universale delle faggete ma anche l’efficacia delle azioni di conservazione effettuate dalle aree protette interessate dal riconoscimento. Dal 2017 l’Italia è entrata in una rete transnazionale di 98 siti naturali di faggete vetuste collocate in 18 nazioni europee: Austria, Bosnia Erzegovina, Belgio, Francia, Macedonia del Nord, Polonia, Slovenia, Spagna, Albania, Bulgaria, Croazia, Germania, Romania, Repubblica Ceca, Svizzera, Slovacchia e Ucraina, oltre al nostro Paese. Queste faggete si trovano nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi Monte Falterona e Campigna, nel Parco Nazionale del Gargano, nel Parco Nazionale del Pollino, Parco nazionale dell’Aspromonte, nel Parco Regionale di Bracciano e Martignano e nel Comune di Soriano del Cimino. Le faggete vetuste rappresentano un esempio eccezionale di foreste complesse, che offrono un ampio spettro di modelli ecologici e diversi tipi di faggi, in condizioni ambientali diverse. Il faggio europeo ha resistito a ogni glaciazione dell’ultimo milione di anni, sopravvivendo a qualsiasi condizione climatica avversa, nella parte meridionale del continente europeo. Dopo l’ultima Era Glaciale, circa 11.000 anni fa, il faggio ha cominciato a espandersi dalle zone del sud fino a ricoprire ampia parte del continente europeo. Grazie all’azione di tutela garantita, in queste faggete si conservano inalterati i cicli naturali della vita degli alberi che rendono la foresta vetusta più resistente ai cambiamenti globali: queste foreste rappresentano veri e propri laboratori naturali dove vivono alberi adattati a superare estati calde siccitose contribuendo così alla mitigazione del cambiamento climatico.

 

5.  Le tartarughe marine si curano nel Parco nazionale del Gargano

 

l Centro di Recupero delle Tartarughe Marine di Manfredonia, gestito da Legambiente Onlus e nato nel 2006 nell'ambito del Progetto Life Natura Tartanet (LIFE 2004 NAT/IT/187), ha svolto e svolge la sua opera nel territorio compreso tra le marinerie di Termoli e Bari, occupandosi del recupero e della cura delle tartarughe marine in difficoltà, vittime di incidenti con attrezzi da pesca o collisioni con natanti e del loro successivo rilascio a mare una volta guarite. Operando in rete con altri centri dislocati su tutto il territorio nazionale, si pone l'obiettivo di attuare un'efficace strategia di conservazione a lungo termine di questi rettili rappresentati da specie protette a livello internazionale. Il Centro è stato collocato nell’Oasi Lago Salso per volontà dell’allora presidente del Parco nazionale del Gargano e dell’Area marina protetta delle Isole Tremiti Matteo Fusilli, che aveva capito le potenzialità di questo strumento per facilitare il rapporto e la collaborazione con una marineria numerosa come quella di Manfredonia. Si deve alla sua determinazione se questa struttura è sorta sul Gargano, e si deve alla indispensabile collaborazione con la marineria locale, se oggi dopo 15 anni il CRTM di Manfredonia è divenuto la più importante struttura di cura delle tartarughe marine che recupera annualmente circa 150 esemplari in difficolta e che poi vengono rilasciati in mare.

 

  1. I muretti a secco delle Cinque Terre fanno bene al clima, al turismo e alla viticoltura di qualità

 

Con i suoi 3.860 ettari quello delle Cinque Terre è il Parco nazionale più piccolo d’Italia nonché il più densamente popolato con circa 4.000 abitanti. Dalla sua fondazione, nel 1999, il ruolo del Parco è quello di preservare il delicatissimo equilibrio tra le coltivazioni a terrazza e la natura. I muretti a secco fanno bene al clima, al turismo e alla viticoltura di qualità, perché se prima c’era un fenomeno di abbandono dei terrazzamenti, con il riconoscimento Unesco del 1997 ne è stata riscoperta l’importanza che non è solo per l’economia locale ma anche per preservare la biodiversità e garantire l’assetto idrogeologico del territorio. Come ha dimostrato l’alluvione del 2011, quando i terreni coltivati hanno retto l’urto delle bombe d’acqua mentre quelli abbandonati sono franati sui centri abitati. Da allora è nato un movimento per il recupero dei terrazzamenti cercando di

mantenere l’originaria architettura del paesaggio, ad esempio mettendo a disposizione per i terrazzamenti i pali in legno in modo che non vengano sostituiti da quelli in cemento, e supportando il lavoro degli anziani con incentivi al lavoro giovanile. Inoltre, convivendo con le variazioni del meteo

 

  • stato attivato dal Parco un gruppo di geologi che, dopo ogni allerta, verifica che i sentieri siano percorribili e se servono interventi di manutenzione. In questo angolo di costa ligure, invaso da 3,5 milioni di turisti prima della pandemia, l’obiettivo è far sì che gli afflussi di massa non snaturino l’identità del territorio e i suoi ritmi naturali.

 

  1. Lo spietramento non si pratica più nell’Alta Murgia, ora cresce l’agroecologia

 

Il Parco nazionale dell’Alta Murgia previsto dalla legge 426/98 nasce nel 2004 dopo accese discussioni e conflitti, e grazie alle mobilitazioni della società civile e delle associazioni ambientaliste, per garantire l’integrità di un territorio storicamente e intensamente vissuto e abitato dall’uomo e segnato dalle attività agropastorali. Il paesaggio naturale caratteristico dell’Alta Murgia è la pseudosteppa, che non esisterebbe senza l’utilizzo secolare dell’Alta Murgia per la pastorizia stanziale e transumante, e dunque il mantenimento di queste attività è condizione essenziale per il mantenimento del paesaggio tipico. Per garantire il paesaggio tipico, è stata ingaggiata una dura lotta contro la pratica abusiva dello spietramento che impoverisce il paesaggio ed i beni culturali delle aree murgiane: l’utilizzo di potenti mezzi meccanici per dissodare i terreni per la loro messa a coltura è stata la motivazione principale per promuovere la nascita del Parco nazionale. Lo spietramento ha innescato fenomeni di erosione e desertificazione prima sconosciuti, e la vegetazione steppica che tratteneva l’humus e lasciva libere le acque superficiali di infiltrarsi nel sottosuolo e depositarsi nelle falde sotterranee. Prima della nascita del Parco nazionale la pratica dello spietramento era diffuso su tutta l’Alta Murgia, l’avvento dell’area protetta, insieme alla crescita di una maggiore consapevolezza, ha favorito un cambio sostanziale delle attività produttive vocate sempre più al biologico e all’agroecologia.

 

8.  L’Isola carcere dell’Asinara liberata dal Parco nazionale

 

L’isola dell’Asinara è stata per oltre un secolo un’isola carcere inaccessibile, poi venne il Parco nazionale che liberò l’isola dal suo passato per proiettarla nel futuro dell’ecoturismo. Infatti, l’isola dell’Asinara, fu dapprima stazione sanitaria di quarantena e colonia agricola penale, poi campo di prigionia durante la Grande Guerra, dal 1975 carcere di massima sicurezza dove finirono brigatisti, sequestratori e boss della malavita. La condizione di carcere di massima sicurezza rendeva l’isola chiusa al pubblico – divieto che durerà fino al 1999 – ma questo isolamento e inaccessibilità, ha provocato da un lato la nascita del fascino e del mistero dell'Isola e dall'altra l'indiretta conservazione di alcune aree integre e vergini, rendendola un patrimonio unico e di inestimabile valore a livello internazionale. Nel 1997, infine, grazie alla legge 394/91 l’istituzione del Parco nazionale che fa scoprire e rende fruibile (sebbene per pochi) questo tesoro naturalistico disseminato su 50 chilometri quadrati (e 110 chilometri costieri) del comune di Porto Torres. Dal 2002, invece, al Parco nazionale è stata assegnata anche la gestione dell’Area marina protetta per tutelare il fondale e lo scrigno di biodiversità marina presente attorno all’isola. In diverse occasioni si è ipotizzata la riapertura del carcere di massima sicurezza, ma la scelta di puntare sulla tutela e valorizzazione ecoturistica dell’Isola ha permesso di liberare l’Asinara dal suo passato e puntare decisamente e irreversibilmente nella direzione del Parco nazionale.

 

9.  La dieta cilentana parla mediterraneo e si celebra nell’Ecomuseo

 

La Dieta Mediterranea riconosciuta nel 2006 dall’Unesco come lo stile alimentare più salutare per eccellenza, prima di essere una delle inestimabili ricchezze della civiltà italiana, nasce sulle tavole del Cilento antico nell’odierno Parco nazionale. Fu la tradizione gastronomica del caratteristico

 

borgo di Pioppi, nel comune di Pollica, ad attirare l’attenzione di Ancel Keys, il grande fisiologo americano che inventò la piramide alimentare il modello grafico che indica quali cibi consumare quotidianamente e quali evitare per condurre uno stile nutrizionale corretto. A Pollica, nella capitale mondiale, la dieta si celebra e viene raccontata attraverso l’Ecomuseo della Dieta Mediterranea, con sede a Palazzo Vinciprova nella frazione di Pioppi, ma si sviluppa su tutto il territorio sul territorio attraverso sentieri, orti didattici, luoghi storici e progetti immateriali, che vanno anche oltre i confini comunali di Pollica che, con il Cilento, è una delle comunità emblematiche della Dieta Mediterranea individuate in sede di dichiarazione Unesco insieme ad altre in Spagna, Grecia e Marocco. L’Ecomuseo (o museo diffuso) è lo strumento, ideale per collegare tutti gli aspetti, materiali e immateriali, di questa straordinaria cultura ed è fondato su tre assi patrimonio, territorio e comunità, ed è nato per volontà del Comune di Pollica, Legambiente e il Parco nazionale del Cilento, per raccontare e valorizzare questa straordinaria esperienza sociale e culturale dello stile di vita rappresentato dalla Dieta Mediterranea.

 

  1. Il Sistema Antincendio Boschivo del Parco nazionale del Pollino

 

La piaga degli incendi estivi ogni anno colpisce le nostre aree protette soprattutto nel Meridione, con milioni di ettari che vanno purtroppo in fumo. Per fronteggiare questo fenomeno, il Parco nazionale del Pollino ha messo in atto un articolato sistema di prevenzione e gestione delle emergenze attraverso un sistema AIB fatto di collaborazioni con le associazioni di protezione civile del territorio, sistemi di videosorveglianza e un patto economico che prevede meno introiti alle associazioni in caso di incendi. L’applicazione di questo modello organizzato dal Servizio antincendio boschivo dell’Ente parco nel periodo 2011-2020 ha garantito la diminuzione di circa l’80% per cento delle aree percorse dal fuoco all’interno del perimetro dell’area protetta. I risultati ottenuti dall’Ente Parco Nazionale del Pollino sul fronte della lotta agli incendi sono il frutto di una strategia che prevede lo spiegamento di uomini e mezzi e l’impiego dei cosiddetti contratti di responsabilità: uno strumento basato su un meccanismo premiale, che consente un incremento dei contributi tanto maggiore quanto minore è il numero di focolai che si verificano. Risultati positivi registrati anche durante l’estate dei roghi del 2021 quando, a fronte di un incremento dei focolai nello stivale pari al 256%, l’area del Parco nazionale del Pollino è risultata libera dagli incendi grazie alla buona pratica messa in campo all’ombra dei pini

 

 

 

 

APPROFONDIMENTI

 

1.  I PARCHI PER LA BIOECONOMIA CIRCOLARE

 

Le aree protette rappresentano la grande banca in cui i servizi eosistemici, beni comuni indispensabili alla vita, considerati inesauribili e privi di valore economico (biodiversità, acqua, suolo, foreste, etc..), si generano e rigenerano, finendo per acquistare un formidabile valore anche per l’economia dei territori coinvolti. Per i parchi, infatti, l’economia generata dall’uso sostenibile delle risorse naturali e dalla loro trasformazione in beni e servizi finali nel settore agro-silvo-pastorale, sono i punti di forza su cui continuare a puntare. I parchi devono essere la leva per stimolare l’economia e devono essere luoghi di nascita di un modello di sviluppo locale intrecciato con azioni di tutela forti e strutturate, e capaci di mantenere intatta la capacità del capitale naturale di erogare i servizi ecosistemici nel lungo periodo. Nel nostro Paese i parchi e le aree naturali protette sono stati una grande sollecitazione i territori interessati a misurarsi con politiche di sviluppo innovative basate sulla qualità ambientale, la tutela della biodiversità e la coesione territoriale. Si può dire che i parchi abbiano irrobustito e ringiovanito tanti territori che, pur ricchi di risorse naturali, non avevano gli strumenti operativi e scientifici per conoscerli e fruirli meglio. Le comunità interessate dalle aree protette hanno saputo dimostrare che investire sulla natura è un “affare”, ed i parchi non sono solo buona conservazione di specie e habitat ma sono anche occasione per mettere in atto buone pratiche di sostenibilità e sostegno alle produzioni di eccellenza nel settore agro-silvo-pastorale: la riduzione del consumo di suolo, la gestione forestale sostenibile, la buona gestione degli allevamenti e delle specie selvatiche.

 

Esiste una solida economia che si è sviluppata nei quasi 4mila comuni che fanno parte di un’area protetta o un sito della Rete natura 2000. Nei parchi nazionali e regionali sono presenti oltre 850mila imprese, che sono parte integrante delle 300mila imprese della Green economy che impiegano oltre 3 milioni di lavoratori e generano un valore aggiunto di oltre 100miliardi di euro pari al 10.6% dell’intera economia del Paese. Il 17% dei posti di lavoro in Europa dipendono direttamente dalle risorse ecosistemiche delle aree protette. Nei soli parchi nazionali la superficie agricola utilizzata (SAU) ammonta a 752.400 ettari (il 50,9% del totale) con 55mila occupa diretti e una diffusione di imprese agricole del 21,4% (a livello nazionale è il 13%). La filiera agroalimentare e le produzioni nelle aree protette conta 733 prodotti di qualità certificati di cui 150 dop/doc/igp; 263 prodotti della tradizione agroalimentare PTA; 198 prodotti classificati dall’Atlante dei prodotti tipici dei Parchi e 114 certificati dall’INSOR (istituto nazionale di sociologia rurale).

 

In questo contesto le aree protette hanno l’opportunità di posizionarsi come infrastrutture della bioeconomia circolare (l’economia basata sulle risorse naturali rinnovabili per produrre cibo, materiali ed energia ed è perciò circolare per definizione) e diventare esempi virtuosi di un modello di gestione degli ecosistemi naturali che deve allargarsi a tutto il territorio, oltre i confini delle aree protette. La bioeconomia circolare comporta un rilevante impulso al settore primario (agricoltura, zootecnia, selvicoltura, acquacoltura e pesca), e grazie al suo enorme potenziale innovativo rappresenta una risposta alle sfide globali, e si colloca nella direzione del perseguimento degli impegni sottoscritti dal nostro Paese in materia di contrasto ai cambiamenti climatici, conservazione della biodiversità, decarbonizzazione dell’economia e sviluppo sostenibile dei territori. In estrema sintesi, sebbene non possa essere considerata la panacea di tutti i mali, la bioeconomia circolare sembra almeno possedere alcune carte da giocare per assicurare la sostenibilità ambientale ed economica delle nostre società. Le nostre aree protette hanno già proposto esempi virtuosi di produzioni e servizi che hanno creato benessere con meno energia, meno materia e meno

 

 

 

chilometri, e possono continuare a coltivare l’ambizione di essere i player territoriali fondamentali per sostenere le economie locali e coinvolgere attivamente le comunità.

 

2.  I PARCHI CONTRO IL DECLINO DELLA BIODIVERSITA’

 

Grazie alla sua storia geologica, biogeografica e socioculturale, e alla sua posizione centrale nel bacino del Mediterraneo, in Italia si è sviluppato uno dei patrimoni più ricchi di biodiversità, ospitando circa la metà delle specie vegetali e circa un terzo di tutte le specie animali attualmente presenti in Europa. Siamo il Paese europeo con maggiore biodiversità e custodiamo circa il 37% del totale della fauna euromediterranea oltre 58.000 specie (di cui circa 55.000 di Invertebrati) mentre la flora è costituita da oltre 6.700 specie di piante vascolari (di cui il 15% endemiche). Un livello di biodiversità che è anche il frutto dei molti tipi di habitat che caratterizzano il nostro Paese, composto da ambienti alpini, continentali e mediterranei, oltre a moltissime isole, particolarmente ricche di endemismi. Ma è soprattutto il risultato di politiche attive di conservazione e della crescita del sistema nazionale di aree protette diffuso su tutto il territorio.

 

Il declino della biodiversità è uno dei maggiori problemi ambientali che l’umanità si trova ad affrontare, malgrado ciò, la portata e la gravità delle conseguenze di questo declino non sono ancora percepiti dal grande pubblico e dalla gran parte dei decisori politici. L’Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), ha ricordato che le attività antropiche hanno un impatto negativo sulla natura a un ritmo da cento a mille volte più veloce della media degli ultimi 10 milioni di anni, e che questa perdita di biodiversità minaccia la capacità degli ecosistemi planetari di fornire i servizi da cui l’umanità dipende. La perdita di habitat, l'inquinamento diffuso, l'eccessivo sfruttamento delle risorse, i crescenti impatti delle specie aliene invasive, i cambiamenti climatici sono i fattori chiave della perdita di specie.

 

In Europa la perdita di biodiversità continua a un ritmo allarmante, e secondo il rapporto 2020 State of Nature in the EU, il 39% delle valutazioni delle specie di uccelli selvatici e il 63% delle valutazioni delle specie non di uccelli protette sono in uno stato scadente o negativo, mentre solo il 15% delle valutazioni degli habitat protetti mostrano un buono stato di conservazione. Il degrado degli ecosistemi pregiudica la loro capacità di fornire benefici per la vita e il Pianeta (servizi ecosistemici), e da una prima valutazione la maggior parte dei tipi di ecosistemi nell'UE (urbani, agroecosistemi, boschi e foreste, brughiere e arbusti, terre scarsamente vegetate, zone umide, acqua dolce e ecosistemi marini) mostrano un tendenziale deterioramento e una ridotta capacità di fornire protezione dalle inondazioni, impollinazione delle colture, legname e attività ricreative basate sulla natura, rispetto alle valutazioni fatte nel 2010.

 

I cambiamenti climatici si stanno verificando a ritmi talmente veloci che numerose specie animali e vegetali stentano ad adattarsi con il rischio, se la temperatura media mondiale dovesse continuare ad aumentare in maniera incontrollata, di aggravare ancora di più la velocità del tasso di estinzione. Secondo l’ONU, i cambiamenti climatici hanno già avuto un impatto negativo sul 47% dei mammiferi terrestri e il 23% degli uccelli. Contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5°C potrà ridurre in maniera significativa i danni climatici e gli effetti negativi sulla biodiversità e l’ambiente naturale. Un aumento della temperatura globale compreso tra 1,5°C e 2°C causerebbe la perita di significativi habitat essenziali per numerose specie e porterebbe alla progressiva riduzione del loro areale, aumentandone il rischio di estinzione. Diversi studi ritengono come un aumento delle temperature di 2°C causerebbe l’estinzione del 5% delle specie e questo valore crescerebbe fino al 16% per un aumento di 4,3°C.

 

 

 

 

Drammatico lo scenario delineato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) attraverso il Rapporto “Analisi del rischio - I cambiamenti climatici in Italia”: entro fine secolo, in Italia, le notti tropicali, quelle con temperatura maggiore di 20 gradi, aumenteranno unitamente a sequenze di giorni senza pioggia, tanto che la portata di fiumi e corsi d’acqua potrebbe ridursi del 40% ed il rischio incendi aumentare del 20%.Le temperature estive al sud sfioreranno costantemente i 40 gradi. Anche l’IUCN ha sottolineato i danni che il cambiamento climatico sta provocando sul patrimonio naturale dell'umanità, dalla contrazione dei ghiacciai allo sbiancamento dei coralli fino a incendi e siccità sempre più frequenti e gravi.

 

L'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile pone la biodiversità come uno degli elementi chiave per molte attività economiche, in particolare quelle legate ai settori dell'agricoltura sostenibile. La biodiversità, inoltre, è un tema fondamentale all’interno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). In particolare, l’obiettivo n. 15 che mira a “proteggere, ripristinare e incentivare l’uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno e fermare la perdita di diversità biologica” - e su cui il nostro Paese è in forte ritardo – necessita un cambiamento urgente e una forte accelerazione del percorso politico che incide e influenza la gestione del territorio e della biodiversità.

 

  1. I PARCHI E LE COMUNITA’ LOCALI CONTRO LA CRISI CLIMATICA

 

La natura è il regolatore climatico più efficace ed anche il più potente elemento di immagazzinamento della CO2, e la perdita di biodiversità influenza direttamente la stessa capacità degli ecosistemi contribuire a frenare il surriscaldamento del pianeta. Conservare la biodiversità è quindi una delle prime condizioni per aiutare a ridurre le emissioni di gas serra e a rendere gli ecosistemi più resistenti e capaci di proteggersi da soli. Le aree naturali protette forniscono un contributo fondamentale per frenare la perdita di biodiversità e nel mantenere efficienti gli ecosistemi e tutelare le specie a rischio. I parchi sono lo strumento più efficace per gestire gli spazi naturali, una funzione riconosciuta anche a livello globale, tant’è che la rete mondiale dei parchi nasce proprio dalla necessità di diffondere questa modalità di gestione tra le più efficaci per arrestare i vasti processi di degradazione in atto e pianificare l’uso sostenibile del territorio, a partire dalle risorse più preziose quali biodiversità, acqua, suolo.

 

I cambiamenti climatici sono una drammatica emergenza globale oramai evidente negli effetti e nelle cause. Le conseguenze, spesso disastrose, sono legate innanzitutto all’aumento di eventi metereologici estremi, alla variazione della distribuzione annuale delle precipitazioni piovose, all’aumento del rischio idrogeologico e inondazioni, all’aumento delle ondate di calore, della siccità e del rischio incendi. Il climate change è tra i maggiori rischi a cui è sottoposto il nostro fragile territorio, e l’aumento della sua vulnerabilità è causata proprio dal cambiamento climatico che deve essere contrastato con efficaci politiche territoriali coerenti con gli obiettivi globali.

 

L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) sottolinea la necessità di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5°C rispetto all’era preindustriale, e propone di dimezzare l’attuale livello di emissioni entro il 2030 e arrivare a emissioni zero nette entro il 2040 (Netzero).

 

Il cambiamento climatico è il rischio maggiore a cui è sottoposto il nostro fragile territorio (quello montano in particolare) con effetti negativi sugli ecosistemi naturali e la biodiversità soprattutto a causa dell’aumento dei rischi naturali (dissesto, eventi estremi, incendi, riduzione del permafrost, arretramento dei ghiacciai…) e che provocano, come conseguenza diretta, la riduzione dei servizi ecosistemi erogati dal capitale naturale custodito in questi territori marginali. Il climate change, perciò, deve essere il riferimento per incoraggiare l’avvio di politiche territoriali nuove e agevolare scelte strategiche necessarie ma fin qui rimandate perché non si è percepita l’urgenza di rispondere

 

 

 

 

alle sfide globali. Molte aree del Paese sono ancora alle prese con il declino economico e lo spopolamento che li ha travolti, e per questo hanno bisogno di politiche pubbliche di riequilibrio territoriale, e necessitano di ulteriori attenzioni e politiche efficaci affinché possano contribuire alle strategie di adattamento e mitigazione.

 

I territori montani e molte aree interne hanno conquistato notorietà per la natura che conservano e sono attrattori di flussi turistici e di nuova economia green anche perché coincidono spesso con aree naturali protette. Nonostante tanti punti di forza ai territori montani non viene riconosciuto l’importante funzione di presidio territoriale che svolgono, probabilmente perché sono considerati marginali dal punto di vista politico, non pesano dal punto di vista economico e non sono importanti dal punto di vista elettorale visto che la popolazione residente non supera i 10milioni. La lotta al cambiamento climatico e allo spopolamento saranno le sfide più impegnative per la nostra montagna che dovrà essere sempre più considerata come una risorsa strategica ricca di materie prime (riserva di acqua, foreste, energia, biodiversità, etcc..) da utilizzare per mitigare gli effetti del climate change e creare opportunità a favore delle comunità locali.

 

Per affrontare la sfida globale del cambiamento climatico, e porre un freno allo spopolamento delle montagne, servono strategie risorse e innovazione e sono necessarie nuove relazioni territoriali tra i territori montane e le città che sono sempre state il loro riferimento storico. Serve un patto di mutualità tra le comunità locali e quelle urbane: un accordo tra chi cura il capitale naturale e chi ne utilizza i servizi ecosistemici che da esso si generano. Chi accetta per il proprio territorio uno speciale regime di tutela e le relative limitazioni di utilizzo deve ricevere un adeguato ristoro da chi beneficia di queste limitazioni. Una nuova alleanza per contrastare il cambiamento climatico e mantenere vive le comunità di montagna è nell’interesse di tutti. Una nuova relazione tra territori urbani e territori rurali e nell’interesse delle grandi città, perché possono continuare a beneficiare di servizi ecosistemici efficienti, ed è fondamentale per la sopravvivenza delle aree rurali che così ricevono riconoscimenti e risorse per continuare ad abitare le montagne ricche di risorse naturali.

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Prime reazioni.   L'associazione LEGAMBIENTE

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